Roma, 13 ott – L’attacco coordinato contro la cultura classica a livello di scuola secondaria – riduttivamente parliamo delle lingue antiche quindi greco e latino, della filosofia e in parte della storia – non è di oggi, e non si è mancato di occuparcene su queste colonne, per esempio quasi un anno fa con l’intervista al Prof. Arduino Maiuri, della quale vale senz’altro rammentare un passaggio che basterebbe da solo: “Il mondo classico offre… ai suoi estimatori, qualunque sia poi la loro specifica ‘mission’ nella società, una profonda consapevolezza identitaria, un radicato spirito di appartenenza, un substrato ideale…”.
Quanto basta, però, anche a fare della cultura classica un bersaglio fin troppo facile per coloro che della sostituzione di popolo e dell’internazionalismo proletario senza Patria hanno fatto uno sciagurato programma politico.
Non stupisca allora che la riforma della scuola in Spagna preveda una secca riduzione delle ore d’insegnamento della filosofia, né che altrove in Europa diminuiscano progressivamente le ore dedicate all’insegnamento delle lingue classiche, ormai sparite dai programmi in alcuni paesi nord-europei, con amara ironia proprio quelli che la ricerca paleogenetica recente indica come culla profonda della civiltà europea.
Né stupisca che anche in Italia, sede del più grande patrimonio classico del mondo, guadagni spazio chi avalla il tramonto dell’insegnamento classico, scrivendo perfino di “critica astratta, pedante e inconcludente”. È ormai un modo di dire, quasi un’ovvietà che neppure viene più approfondita, quello per cui la società di oggi sia in rapido cambiamento, che a tratti sa più di cesura netta col passato che di un suo progresso vero e proprio.
Tra le innumerevoli mutazioni, una sembra passare quasi in sordina e assurge all’onore delle cronache solo quando diventa impossibile tacerlo: l’Europa – e solo l’Europa, si badi – sembra voler rinunciare allo studio delle materie classiche. Nell’immaginario comune o di chi non è un addetto ai lavori, queste materie potrebbero presentarsi come le sempre criticate latino e greco (quest’ultima un vero bersaglio per i tecnici e gli indefessi pragmatici), ma in questo quadro la ricordata riforma iberica compie un deciso passo avanti, proiettandosi addirittura verso la cancellazione anche dello studio della filosofia. Se qualcuno ha protestato, altri hanno passivamente accettato e alcuni hanno perfino esultato vedendo in questa manovra la cessazione di ore buttate al vento e perse in discorsi vacui e teoretici che mai e poi mai, si racconta, potrebbero avere riscontro pratico.
È fin troppo facile ribattere a questi tardivi positivisti che le loro denunce a danno della filosofia più che originali sanno parecchio di antico, tanto da ricordare quelle che Aristofane faceva esprimere nella commedia “Le nuvole”. In essa, Socrate, emblema dei filosofi più in voga al tempo ossia i sofisti, stava in meditazione sospeso su delle nuvole, col suo riflettere articolato e appunto sofisticato che si perdeva in problemi di lana caprina, inadatto a risolvere quelli veri e terreni. Quella era una commedia però, e Aristofane non si sarebbe mai sognato di volere una Grecia senza filosofia, anzi ne criticava l’adattamento sofistico che secondo lui si riduceva ad un saper parlar bene, convincere e persuadere senza introspezione o analisi.
In Spagna invece fanno sul serio – si fa per dire – e la satira di Aristofane non varrebbe a dissuaderne sostenitori ed epigoni. Né si può essere tanto ingenui da pensare che questi ultimi non si trovino in buona compagnia anche a est dei Pirenei.
Perché in realtà e benché se ne dica, in Europa c’è stato un unico ministro dell’istruzione che ha pensato di dare il primato alla conoscenza umanistica rispetto a quella tecnica, ritenendo poi che quest’ultima sarebbe discesa dalla prima. Certo dai tempi di Giovanni Gentile – ché di lui si parla – il nostro continente ne ha viste tante, ma più di tutto ha visto la propria identità indebolita e strapazzata, infine a rischio di essere scalzata e trascinata via come da un fiume in piena.
In realtà, non è altro che l’Europa stessa che ha volutamente abbandonato e adesso sta rinnegando la propria identità: l’abbandono delle lettere classiche, della filosofia e poco manca anche della storia, è un figlio degenerato del buonismo che plaude sulla carta, sugli schermi e spesso nelle strade alle orde immigrate, che predica di fatto una cultura nuova, universale e quindi impossibile da giustificare se ancora si tenesse saldo negli Europei il substrato delle discipline antiche che formano tutte insieme la nostra vera identità.
Noi le rifiutiamo ma in altri continenti invece le adottano, le intensificano e soprattutto ci investono. L’America (Canada e Usa), l’Oceania (sia Australia che Nuova Zelanda) incrementano le ricerche di filologia e soprattutto di cultura greca e romana, forse perché è stata ambizione, e perfino utopia realizzata per qualche decennio e almeno oltre-atlantico, quella di rappresentare la “nuova Roma” o, per dirla con la locuzione attribuita al presidente Obama, l’unica “Nazione speciale e indispensabile”, in ogni caso nella consapevolezza dell’immenso valore dello studio della nostra antichità.
Non si può però eludere un nodo fondamentale: perché studiare le lingue classiche e la filosofia?
La generazione che presto si troverà a dover condurre la vita civile, sociale e politica e che è quella della seconda metà degli anni ’90 del secolo scorso, viene chiamata “generazione z”, forse perché ultima di una serie di generazioni anche simili fra loro, o più tristemente espandibile in “generazione zombie”, chi sa, ma di una cosa possiamo essere certi: è stata addestrata all’ultra-specializzazione, perfino pateticamente arpionata a modelli di società già vecchi, e acritica, sostanzialmente incapace di compiere analisi approfondite e dotata della minima soglia di attenzione. I giovanissimi Italiani, tra tutti, detengono il triste primato in Europa per insufficienza di competenze sia letterarie e linguistiche sia aritmetico-matematiche, e in quanto tali sicuramente incapaci di comprendere la complessità del reale e le tendenze per l’avvenire.
Si parlerà ancora di scalate sociali e di “status symbol”, probabilmente anche di uomo e di umanità, ma molti pochi sapranno capire l’origine stessa di questi termini e il loro significato. Di più, si perderà memoria dell’uomo stesso se i Poemi Omerici non verranno più letti, il nostro vocabolario si restringerà fino a un lessico da sopravvivenza se non conosceremo più il latino e il greco, tanto meno capiremo più perché una vasta ed incontrollata immigrazione possa distruggere una società per quanto essa sia all’apparenza salda e complessa, se non ci dedicheremo allo studio della storia dell’Impero Romano.
Inutile diverrà la lettura di autori anche ottocenteschi e novecenteschi, data la frequenza e ricorrenza nelle loro opere di riferimenti agli antichi. Senza filosofia, i problemi potranno essere esaminati solo marginalmente e magari da un unico punto di vista. La filosofia, che in Occidente era iniziata non solo come studio della natura e dei comportamenti umani ma che poi ha preso anche la strada che ha portato alla scienza moderna, verrà studiata solo se utile a fini politici o per giustificare una decisione etica altrimenti discutibile (e sicuramente lo sventurato filosofo citato sarà travisato).
La superficialità diventerà, se non lo è già, il modus operandi, accompagnato dall’incapacità di guardare oltre il recinto del proprio giardino. Non conoscere la propria storia significherà non conoscere più se stessi ma nemmeno gli altri. Secondo il giovane filosofo Diego Fusaro, “Solo chi ha una cultura, una tradizione, un’identità, una lingua può rispettare quelle degli altri”.
Lo spirito di questi anni di crepuscolo non pare allora quello che spinge a costruirci il futuro con il sostegno della nostra identità culturale e storica ma all’inverso quello di rifiutare queste ultime, rinnegarle e così, come in una rivoluzione permanente (ogni riferimento al trotskismo che ha nutrito finanche gran parte dei neocon americani è esplicito), creare nuovi ideali basati sul niente e affidati a generazioni che non potranno riconoscere ne’ una Patria ne’ una storia.
L’Europa perde se stessa in un mare di idiozie e teorie fasulle, mentre americani e australiani ricercano proprio nel nostro passato le chiavi del futuro. Lasciare che la nostra scuola e la nostra educazione subiscano un colpo di falce così micidiale sarebbe come permettere ai Proci di sedersi sul nostro trono e di congiungersi alla nostra Penelope-Europa.
Cosimo Meneguzzo
1 commento
Salve! Trovo l’articolo molto interessante. Sto lavorando da qualche tempo su un’idea di studio della cultura classica come strumento di inclusione. Mi piacerebbe poter accedere ad una vostra bibliografia, oppure avere un contatto con l’autore dell’intervento