
Una parola semplice, ribadita spesso nel film, a cui Zalone sembra attribuire un senso particolare, importante: “per me è buon senso”, spiega. Educazione è la parola che sfida il nordico legalismo sfrenato in diverse scene del film, educazione è richiamo ad una società fatta ancora di persone e di relazioni di vicinato, richiamo ad un senso di comunità che si perde in quella triste forma di “senso civico” in cui ogni conoscenza immediata ed ovvia degenera in regolamentazione, poiché il prossimo è, ormai, pressoché un estraneo. Checco Zalone fa anche satira. Ma non è satira anti-italiana. Prende in giro l’italiano medio quanto il radical chic; la presunta apertura mentale del nord Europa, con gli eccessi del multiculturalismo e dell’egualitarismo portato al paradosso, ma, al tempo stesso, non fa sconti alla mentalità bigotta, alla burocrazia conservatrice da Prima Repubblica, al parassitismo. L’Italia, sembra dire, non è la mentalità piccolo borghese, che ha paura di rischiare e di perdere i suoi miseri privilegi. L’Italia è quel senso di comunità, è, “dopo tanto buio nordico, la luce del Sud”, ma la sua rinascita passa per un ritrovato valore del rischio e del dono di sé. È per questo che la satira, in chiusura, abbandona il piano orizzontale e riparte dalla scena iniziale. “Ognuno ha un talento, tu cosa vuoi fare da grande?”, chiedeva il maestro in apertura al piccolo Checco. Lui, impregnato di cultura piccolo borghese, rispondeva: “Io voglio fare il posto fisso”.
Ma, infine, “la storia della sua anima”, che il capo tribù africano gli chiedeva di raccontare, porta ad una conclusione che prevede un distacco dai due modelli messi a confronto e presi in giro per tutta la durata della pellicola, giungendo ad un cambiamento che è ‘verticale’. Checco ritrova la sua italianità ma non è più un piccolo borghese. Sceglie il rischio, il dono, come dicevamo; sceglie, insomma, di superare l’individualismo ed il materialismo. Ci sembra, ma potremmo sbagliarci, che in questo vada molto al di là del buonismo spiccio, così come nella satira va indubbiamente molto al di là del politicamente corretto, ragion per cui tale Davide Turrini su “Il Fatto Quotidiano” (s)parlava di “minoranze sputtanate”. Il che è un gran merito. Insieme al dato oggettivo che più di tutti permette di valutare una commedia: il film fa ridere. Fa ridere, a volte sorridere, e lo fa in maniera elegante. Senza forzature, battute trash, senza risultare volgare, banale o ripetitivo. Il personaggio è sempre lo stesso ma la struttura e la narrazione gli consentono di utilizzare schemi comici sempre diversi. Non è qualche buona trovata qua e là a far ridere in questo come negli altri suoi film, ma una struttura comica di per sé, un impianto narrativo decisamente azzeccato. E gli applausi di un pubblico sicuramente eterogeneo in quel di Londra molto probabilmente ne sono la conferma.
Emmanuel Raffaele