
Da questo paesino di un migliaio di abitanti prende quindi il nome quello che è sicuramente il disco più personale degli Zetazeroalfa. Ma, non sembri un paradosso, anche il più comunitario. Le suggestioni, i nomi, i luoghi, i ricordi, i frammenti di un’esistenza singolare si fanno specchio di un’avventura collettiva. Non a caso le collaborazioni sono molte: Fantasmi del Passato (“Per la Siria! Per Assad”), Drittarcore (“Sotto bandiere nere”), Bronson e Blind Justice nei cori, la special guest Lebensessenz. Un disco corale, insomma. “In fondo all’Io c’è un Noi”, diceva Giovanni Gentile. “È la torre che tu difendi che ti difende e ti difenderà”, gli fa eco Zetazeroalfa. È affermando un principio in modo impersonale che diventerai persona. È anche un disco velato da una strana e dolce malinconia, cosa che peraltro non dovrebbe sorprendere chi conosca bene il gruppo. Ma non si tratta di una malinconia autocompiaciuta, sterile, distruttiva. È, ossimoro nell’ossimoro, una malinconia gioiosa. È sangue che irradia le cicatrici e pulsa più forte. Sono le persone e le esperienze che abbiamo perso: in amore, nell’amicizia, nella militanza. Chi se ne va lascia sempre un segno. Ma ciò che conta è solo chi resta, è solo ciò che è avanti. Di questo pathos è perfetta espressione il brano che si candida ufficialmente a diventare la nuova “Vita mia”, ovvero “Luci blu”. Siamo di nuovo in una “notte piena di polizia”, in cui ricordi personali e barricate si intersecano: “E penso a dove sarai tu / in questa notte di blindati / in questa terra di dannati”. Un retrogusto amaro, ma sereno. Quasi zen, per citare “Zen serendepico zen”, altro brano che guarda un po’ al futuro e un po’ al passato ma, in ogni caso, senza nessun rimorso. Ogni scelta è rivendicata fino in fondo, ogni decisione è santificata dall’azione, anche se ha fatto male, anche se ha comportato una perdita. Ma indietro non si torna, c’è solo l’avanti: al galoppo verso “nostra signora libertà”, come recita il testo di “Morimondo”, struggente ballata sulla ricerca di se stessi in cui si respira, forse grazie ai ritmi western, il senso degli ampi spazi e uno spirito della frontiera che non sarebbe dispiaciuto a Pound.

Restano, infine, “Marcia oppure crepa”, annunciato da sorprendenti sonorità anni ’70, il cui significato è trasparente già dal titolo (c’è una rivoluzione in atto, si può marciare compatti oppure crepare nell’invidia e nel bigottismo politico antifascista, tertium non datur), e “Sotto bandiere nere”, riuscitissimo brano crossover rap/metal in cui i Drittarcore sembrano più in forma che mai: un bel calcio in culo a quei quattro nerd della “scena” rap e chi gli va dietro. Siamo arrivati alla fine, anche se prima dobbiamo attraversare la calma olimpica del piano di Lebensessenz (“La grande visione”) e la furia elettronica di “Kosmos”, più una sorpresa jazz per i più pazienti. Terminato il cd, resta l’impressione di un disco suonato in modo eccellente e registrato in modo superbo, ma soprattutto di una band che non smette di migliorare, di sperimentare, di creare, tanto dal punto di vista musicale che da quello dei testi, che non fa dischi tanto per farli, che ogni volta sputa fuoco e sangue e racconta pezzi di vita, sua e nostra, anche a costo di lunghi periodi di silenzio musicale (mai il gruppo ci aveva fatto aspettare 7 anni tra un lavoro e l’altro). Zetazeroalfa fa molto di più che accompagnare le nostre esistenze come una colonna sonora: le anticipa e le indirizza, le forma e le riempie. È quel Noi che sta in fondo a ogni Io e la cui voce, se taci e ti concentri, riuscirai a sentire. Anche quando è finito il cd.
Adriano Scianca