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Azzurrini, il trionfo all’Europeo Under 19 non è casuale: ma ora occorre capitalizzare

by Stelio Fergola
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europeo under 19

Roma, 17 lug –  L’Italia conquista l’Europeo Under 19. E qualcuno dovrà dire, in un modo o nell’altro, che una finale siamo riusciti a vincerla, in questo 2023 di “atti conclusivi perdenti” (tra le tre finali delle coppe europee e quello degli azzurri under 20, sconfitti dall’Uruguay nella finale dei mondiali in Argentina).

Europeo Under 19, l’ultimo segnale di una lunga serie

Anzitutto una premessa necessaria: se nel giro di tre anni vinciamo un Europeo maggiore e uno giovanile, forse, tanto schifo non dobbiamo fare. Ovviamente, l’affermazione è del tutto sarcastica e apertamente polemica con chi sottovaluta da sempre, e in modo francamente imbarazzante, il livello di talento dei giovani italiani. L’Italia non è il Paese del centro Asia che con le tradizioni calcistiche non ha nulla a che fare, ma una riserva culturale di calcio che per carità, può avere i suoi momenti di crisi ma che declassare nel modo in cui hanno fatto dirigenti, allenatori e tifosi in questi anni è roba quasi da denuncia. Tutti nascosti dietro frasi slogan da depressi come la ormai ultrainflazionata “non abbiamo più Baggio e Del Piero”. Tra questi sedicenti espertoni fiocca chi diceva che avevamo calciatori mediocri dopo tre anni di imbattibilità e un Europeo vinto con Roberto Mancini, suffragando l’asserzione con la mancata qualificazione ai mondiali successiva a quel trionfo. Se vale solo il risultato, l’Italia sarebbe dovuta essere inferiore – per qualità dei calciatori – anche alla Macedonia del Nord.

Al di là di questo, arrivare in tre finali di club (dettaglio importante: sempre con una buonissima ossatura di italiani nelle formazioni titolari), in una mondiale under 20 e vincere un europeo under 19 non può essere tutta ed esclusiva fortuna, neanche matematicamente: significa che la qualità c’è. Anche gli “offertisti” (ovvero coloro che motivano la presunta scarsezza dei giocatori italiani con la mancanza di interesse dei club stranieri, un fatto che può voler dire tutto e niente, visto che se non si promuove il proprio prodotto è difficile che arrivi un acquirente interessato a comprarlo) sono rimasti delusi. Questi ultimi due anni hanno testimoniato l’interesse nullo proprio dei tanto decisivi club esteri per i stranieri che abbiamo “autodefinito” campioni assoluti in questo ultimo decennio (come Paulo Dybala e Sergej Milinković-Savić, senza nulla togliere alle qualità di entrambi). Dall’altro lato, per citarne due, abbiamo assistito alla partenza di Sandro Tonali (per cui qualcuno ha sborsato oltre 70 milioni di euro, a differenza dei due nomi sopracitati) e alla resistenza dell’Inter per gli assalti  della Premier a Nicolò Barella. La vittoria degli azzurrini è solo un segnale, l’ennesimo, di una lunga serie.

Segnali positivi (con qualche resistenza) dalla cultura mainstream

Ieri sera, in diretta dagli studi di Rai 3 dopo il trionfo, è emerso il tema della differenza che passava, in termini di esperienza, tra la nazionale portoghese under 19 e la nostra. Perché anche i giovanissimi lusitani, mediamente, vengono talvolta impiegati nei club di prima fascia o comunque di massima serie, mentre i nostri navigano nelle primavere o in serie di secondaria importanza con una costanza notevole. E non perché siano meno forti o meno dotati, come la partita di ieri ha evidenziato addirittura in modo clamoroso. La buona notizia è che sulla stampa mainstream ormai il tema è diffusissimo. Al punto che sia la carta che la televisione hanno letteralmente invaso questa estate di tornei giovanili. Non solo l’under 21 (come da tradizione) ma anche under 20 e addirittura under 19. Facendo conoscere giovani calciatori italiani di cui in annate passate, scandite da medesimi tornei, non avremmo neanche saputo l’esistenza. Conoscere è il primo passo: se non si conosce, non si fa nulla. Se si conosce, si è per lo meno obbligati a guardare. Il che non è detto che porti ad ulteriori evoluzioni positive, ma resta un passo necessario. La cattiva notizia è che qualcuno che ancora non vede il mondo concreto esiste. Ed era ospite ieri in studio Rai. Si chiama Bruno Giordano, che commentando  la “questione giovanile”, ha ripetuto una frase alla quale siamo abituati da decenni: “È anche vero che se sei bravo, giochi. Al massimo puoi ritardare”. Parole che non corrispondono alla realtà. Sono molti gli italiani che in questi anni avevano le qualità per giocare e non lo hanno fatto. E che nelle migliori delle ipotesi hanno ritardato sì, ma spesso venendo impiegati fuori ruolo e precludendosi in entrambi i modi una crescita. Dunque, riformuliamo: se sei bravo, non è detto che giochi, hai bisogno di chi ti fa giocare. E non lo dice solo chi scrive, ma anche chi nel settore giovanile ci ha navigato, come Gigi Riva e Roberto Baggio. Specialmente se sei italiano. Attaccante poi, non ne parliamo neanche. Sul ruolo c’è quasi un divieto non scritto che – e questa è la cosa più grave – parte proprio dalle giovanili.

Stelio Fergola

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Benoit 17 Luglio 2023 - 6:48

Nazionale italiana…non credo

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