Roma, 24 giugno – Dopo giorni di escalation che hanno visto attacchi diretti ai siti nucleari iraniani, missili cruise, droni suicidi e rappresaglie incrociate, Israele e Iran avrebbero raggiunto un accordo di cessate il fuoco, mediato da Stati Uniti, Oman e Qatar. Lo riferisce l’agenzia iraniana Mehr, ripresa anche da fonti ufficiali occidentali. La tregua in ogni caso potrebbe non tenere: con Israele la guerra non si ferma mai del tutto.
I “cessate il fuoco” di Tel Aviv
Israele ha una lunga storia di tregue formali mai del tutto rispettate. Lo dimostra il Libano, dove l’esercito israeliano continua a colpire postazioni di Hezbollah con attacchi mirati e a bassa intensità, in quello che è ormai un conflitto permanente ma diluito. Lo dimostra Gaza, dove la parola “tregua” non ha più alcun senso. È quindi lecito domandarsi se anche questa tregua con l’Iran non sia una pausa tattica più che una vera de-escalation e già le prossime ore potranno essere rivelatrici. Per Tel Aviv, la guerra non si dichiara mai ufficialmente, ma non finisce mai davvero. In ogni caso non è escluso che possa essere l’Iran stesso a non rispettare la tregua. Dal canto suo, Teheran sembra aver evitato il peggio. Le sue strutture nucleari sono state danneggiate ma non annientate, i vertici religiosi sono salvi, e l’apparato militare interno – pur infiltrato – ancora operativo. Ma il prezzo è altissimo: l’Iran ha perso ogni residuo di deterrenza esterna. L’attacco coordinato congiunto USA-Israele è passato senza reali conseguenze strategiche per gli aggressori. Nessun attacco reale contro asset americani, nessuna ritorsione fuori dal territorio israeliano. In pratica, l’Iran ha incassato il colpo, ma non ha mostrato di poterlo restituire. Il messaggio che passa è chiaro: oggi, chi vuole colpire Teheran, può farlo.
Trump gioca la carta della vittoria diplomatica
Donald Trump, intanto, può intestarsi un doppio risultato: forza e pace. Ha consentito l’attacco – o quantomeno lo ha tollerato – e ora può presentarsi come l’unico uomo capace di chiudere il conflitto con una stretta di mano. Il suo ritorno alla Casa Bianca passa anche da queste immagini: bombe intelligenti prima, diplomazia “americana” dopo, con buona pace degli europei che restano spettatori passivi.Trump conosce benissimo il modus operandi di Tel Aviv, ma può rivendere la tregua come un suo successo personale, dimostrando a entrambi i contendenti che nessuno è in grado di dettare la linea se non lui. Il rischio ora è credere davvero che la partita sia chiusa. Ma nulla, nel comportamento di Israele, fa pensare a una pace strutturale. Nessuno a Tel Aviv considera accettabile un Iran che possa anche solo aspirare a un ruolo regionale autonomo. E la guerra ibrida – fatta di attacchi, sabotaggi, cyberwar e assassinii mirati – continuerà. Quanto a Teheran, non è in grado oggi di rilanciare, ma non può nemmeno permettersi di perdere la faccia. Il silenzio di questi giorni, più che pace, potrebbe essere solo una pausa obbligata per riorganizzare le carte.
L’imperialismo senza retorica
Chi volesse leggere in questo scenario uno scontro di civiltà, o un confronto tra “buoni” e “cattivi”, rischia di perdersi il senso reale della storia. L’imperialismo non è uno stile, ma una funzione: può vestirsi di progressismo, di sovranismo, di democrazia o di religione, ma agisce sempre allo stesso modo. Premia l’allineamento, punisce la disobbedienza, colpisce chi non si integra nei circuiti di potere. L’Occidente non esporta più la libertà, semplicemente esercita il dominio con meno pudore di prima. E il multipolarismo? Per ora, è solo un concetto evocativo, utile a riempire i forum e a illudere qualche satellite. La guerra all’Iran – come quella all’Iraq ieri e quella all’Ucraina oggi – è l’applicazione spietata di un principio: o sei utile, o sei eliminabile. Il cessate il fuoco è senz’altro una buona notizia sul piano umanitario e diplomatico. Ma non deve illudere nessuno: la guerra non è finita, ed è presto per dire come proseguirà. L’Iran è più isolato che mai. Israele ha ottenuto una dimostrazione di forza impunita prima del collasso difensivo. Gli Stati Uniti giocano il doppio ruolo di arbitro e partecipante. E l’Europa, ancora una volta, non ha voce né peso nella partita, nemmeno nella fragile tregua che fa da sfondo alla grande messa in scena imperialista.
Sergio Filacchioni