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Cina, stop al petrolio russo: che succede nel mondo multipolare?

by Sergio Filacchioni
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Roma, 24 ott – Il blocco temporaneo degli acquisti di petrolio russo da parte delle compagnie statali cinesi segna un nuovo capitolo nella competizione globale per l’energia. Dopo le sanzioni imposte da Washington contro i giganti russi Rosneft e Lukoil, Pechino ha annunciato la sospensione di alcune importazioni di greggio trasportato via mare, citando “ragioni di conformità alle nuove misure internazionali”. Dietro questa formula diplomatica si cela un messaggio politico chiaro: il Dragone non intende compromettere la propria rete finanziaria per proteggere un alleato diventato sempre più scomodo.

Il colpo di Trump e la risposta cinese

Secondo Reuters e Associated Press, il pacchetto di sanzioni deciso dall’amministrazione Trump punta a interrompere i flussi di capitale che continuano ad alimentare la macchina bellica russa. Le compagnie energetiche cinesi – PetroChina, Sinopec, CNOOC e Zhenhua Oil – hanno reagito sospendendo temporaneamente le transazioni con Mosca, in attesa di verificare i rischi per le proprie banche e assicurazioni marittime. Un gesto che, pur non annullando l’alleanza energetica tra Pechino e Mosca, ne ridimensiona l’intensità. Dall’inizio della guerra in Ucraina, la Cina era diventata il principale acquirente del petrolio russo, assorbendo circa il 45% delle esportazioni di Mosca e garantendo al Cremlino un vitale flusso di valuta. Ma la nuova stretta americana ha riacceso i timori di sanzioni secondarie, e Xi Jinping ha scelto la prudenza: la priorità, oggi, è proteggere l’economia nazionale e la stabilità interna.

Il ritorno della logica imperiale del dollaro

L’episodio mostra quanto il cosiddetto multipolarismo resti più un orizzonte ideologico che una realtà operativa. Le economie emergenti possono tentare di costruire circuiti alternativi, ma la finanza globale continua a ruotare intorno al dollaro, ai suoi sistemi di compensazione e ai suoi strumenti di pressione. Nonostante gli accordi bilaterali in yuan e rubli, la Cina sa che un conflitto diretto con Washington sul terreno finanziario sarebbe disastroso. Per Mosca, questa è una battuta d’arresto pesante. Vladimir Putin ha definito le nuove misure americane un “atto ostile”, ma la reazione cinese dimostra che nemmeno l’alleato più vicino è disposto a sfidare apertamente la sfera d’influenza statunitense. Il Cremlino si ritrova così in un isolamento economico sempre più asimmetrico, costretto a vendere il proprio petrolio a sconto e a condizioni dettate da Pechino o Nuova Delhi.

Le crepe del fronte anti-occidentale

Per tutto il 2024, il commercio russo-cinese aveva toccato livelli record, superando i 240 miliardi di dollari secondo i dati delle dogane di Pechino. Ma già nel 2025 si era osservata una frenata: ad aprile le importazioni cinesi di greggio russo sono diminuite del 12,9% rispetto all’anno precedente. La decisione di ottobre segna dunque un punto di svolta, non solo economico ma simbolico: la Cina non intende legare il proprio destino alla guerra russa né farsi trascinare in una spirale di isolamento. Il “fronte dei non allineati” evocato da Mosca nei forum internazionali mostra così la sua natura reale: un mosaico di potenze convergenti solo nella contestazione dell’egemonia americana, ma divergenti negli interessi. L’asse eurasiatico, più che una nuova alleanza, è un equilibrio tattico fondato sulla convenienza reciproca, destinato a incrinarsi ogni volta che gli Stati Uniti decidono di esercitare la leva economica.

Effetti globali e nodo europeo

Sul mercato energetico, la sospensione cinese potrebbe tradursi in un aumento dei prezzi del greggio. Secondo il Guardian, l’annuncio di Trump ha già provocato un rialzo immediato delle quotazioni, segnale della vulnerabilità strutturale del mercato globale. Per l’Europa, che si dibatte ancora tra la dipendenza dal gas sia russo che americano e l’incapacità di costruire una propria strategia energetica autonoma, la vicenda conferma una verità scomoda: nel nuovo grande gioco delle potenze, il Vecchio Continente resta spettatore e terreno di pressione, non soggetto attivo.

L’illusione del multipolarismo

L’immagine delle matrioske con i volti di Trump, Putin e Xi, pubblicata oggi da diversi quotidiani, sintetizza perfettamente la situazione: un equilibrio instabile di potenze che si osservano con sospetto, si sostengono per necessità e si tradiscono per convenienza. Il “mondo multipolare” promesso da Mosca e Pechino non è nato. Esiste solo un sistema globale in cui la sovranità economica dipende dalla capacità di resistere al ricatto del mercato e della moneta. Finché nessuno, né a Mosca né a Pechino né tantomeno a Bruxelles, sarà in grado di farlo, il dollaro continuerà a decidere chi può comprare, chi può vendere e chi deve obbedire.

Sergio Filacchioni

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