Home » Decreto sicurezza: la sinistra protesta, ma l’arma è sua

Decreto sicurezza: la sinistra protesta, ma l’arma è sua

by Sergio Filacchioni
0 commento
Sicurezza

Roma, 30 mag – Il nuovo Decreto sicurezza è stato approvato dalla Camera con 201 voti favorevoli. Un provvedimento ampio: 39 articoli, 14 nuovi reati, 9 aggravanti. Sulla carta, dovrebbe rafforzare l’ordine pubblico, combattere il degrado e restituire autorevolezza allo Stato. Ma chi conosce i meccanismi reali del potere sa che la questione non è solo normativa: è politica, culturale e soprattutto operativa. Contro chi sarà davvero rivolto questo nuovo apparato repressivo? La risposta è tanto semplice quanto scomoda: contro tutto ciò che non è in linea con l’ideologia dominante.

Una sicurezza “perbene”, a geometria variabile

Il decreto inasprisce le pene per chi occupa immobili, blocca strade o ferrovie, o manifesta in modo ritenuto ostile, anche solo passivamente. Viene vietata la cannabis light, accelerati gli sgomberi, introdotte aggravanti per reati commessi nei pressi di stazioni o metropolitane. Si dice: si punta alla sicurezza. Ma chi controllerà questi strumenti? Chi deciderà come applicarli e verso chi? Le forze dell’ordine, certo. I prefetti, i questori, le procure. Tutti quei settori dello Stato che – piaccia o no – restano largamente orientati culturalmente a sinistra. La magistratura italiana, com’è noto, non ha mai brillato per imparzialità quando si tratta di valutare movimenti, manifestazioni o tensioni provenienti da ambienti identitari, sovranisti o semplicemente non conformi. In altre parole, la sinistra può anche inscenare il suo rituale indignato contro la “svolta autoritaria”, ma sa perfettamente che queste norme saranno applicate con intelligenza selettiva, con una precisa “discrezione”. I collettivi antifascisti, gli attivisti progressisti, i centri sociali radicali non hanno mai davvero temuto i dispositivi dello Stato. Chi invece difende valori fuori dai binari del pensiero unico sa bene cosa significhi finire nel mirino. Un esempio lampante di questo è l’atteggiamento di Elly Schlein, balzata ai disonori della cronaca per la denuncia di una presunta disparità di trattamento tra le commemorazioni di destra e le manifestazioni della sinistra. Dopo nemmeno cinque minuti la Procura di Roma ha chiesto il processo per 31 militanti di CasaPound, accusati di aver fatto il saluto romano durante la commemorazione di Acca Larentia. “Identificate loro”. Detto fatto.

Il paradosso delle città governate dalla sinistra

Il decreto introduce le bodycam per gli agenti, senza renderle obbligatorie, e amplia la possibilità di videosorveglianza in luoghi di detenzione e durante le manifestazioni. Un ulteriore strumento di controllo per schedare, contenere, reprimere. Eppure le grandi città, governate stabilmente dal centrosinistra, non vedranno applicata questa stretta contro spacciatori, bande etniche o l’illegalità diffusa. Il tessuto urbano continuerà a essere modellato dal degrado cosmopolita, dal turismo di massa, dall’omologazione commerciale e dall’immigrazione incontrollata. Il vero nemico, per queste amministrazioni, resta sempre il cittadino che resiste, che alza la testa, che rivendica un’identità. Il divieto alla cannabis light viene celebrato come segno di ritorno all’ordine. Ma si colpisce solo l’apparenza del vizio, per compiacere un certo elettorato borghese e moralista. Il cuore del disordine sociale, invece, resta intoccato, così come spiega Michele Papa – Professore ordinario di Diritto penale nell’Università di Firenze e Consigliere del CSM: “l’espansione incontrollata del diritto penale simbolico finisce per snaturare la funzione stessa della legislazione, trasformandola in un mero veicolo di comunicazione mediatica incapace di incidere realmente sui fenomeni criminali e, soprattutto, di garantire il cittadino dai rischi di arbitrari interventi punitivi”.

La finta sorpresa della sinistra

Fa sorridere – o forse dovrebbe preoccupare – l’indignazione della sinistra parlamentare. Gli stessi partiti che hanno occupato per anni i vertici dell’amministrazione pubblica, le cattedre universitarie, i media, oggi si presentano come vittime. E dovrebbe provocare quantomeno diffidenza chi a destra, dopo aver criticato per anni il potere delle toghe, presenta il decreto sicurezza come una panacea a tutti i mali. Lo sappiamo bene: la macchina dello Stato, quando si tratta di colpire il dissenso, guarda ai simboli di partito ma soprattutto alla cultura politica dominante, che è ancora la loro. Se qualcuno sarà arrestato per “resistenza passiva”, per aver bloccato simbolicamente un corteo o occupato un’aula universitaria, non saranno gli attivisti di Fridays for Future o i militanti rossi. Saranno, come sempre, gli studenti identitari, i movimenti fuori asse, i cittadini che denunciano l’islamizzazione dei quartieri, l’insicurezza diffusa, o che scendono in piazza per chiedere la remigrazione. Sarà una famiglia italiana che occupa una casa popolare, uno studente che protesta contro i PCTO. Insomma, criminalizzare il dissenso sui generis è sempre rischioso, un’arma a doppio taglio. Abbiamo ancora impresse nella memoria le immagini della repressione delle proteste dei portuali di Trieste contro il green pass? Ecco, il punto è proprio quello, riassumibile nelle parole dell’allora Ministro Lamorgese: “A Trieste non c’erano più lavoratori, ma estremisti“.

Il parere del CSM: critico, ma non oppositivo

A rafforzare questa lettura, c’è il parere espresso dal Consiglio Superiore della Magistratura il 4 aprile 2025. Un documento che contiene rilievi tecnici, osservazioni e raccomandazioni di bilanciamento, ma che non assume mai un tono realmente critico o oppositivo. Il CSM evidenzia alcune problematiche – come la vaghezza di nuove fattispecie di reato (in particolare la “resistenza passiva”), il rischio di compromissione dei diritti di difesa e la necessità di rispettare il principio di proporzionalità – ma non contesta mai la legittimità politica del decreto. Nessun allarme democratico, nessuna accusa di autoritarismo, nessuna chiamata alle armi contro la “deriva repressiva”. Un atteggiamento molto diverso da quello adottato dallo stesso organo nei confronti della Riforma della Magistratura, contro cui sono stati lanciati strali durissimi, evocando pericoli sistemici e attentati all’autonomia del potere giudiziario. La sproporzione tra le due reazioni è evidente: quando viene toccato il potere della magistratura, la risposta è immediata e veemente; quando invece si amplia l’apparato repressivo da essa gestito, il silenzio (o la cautela) prevale. Il motivo è chiaro: questa normativa non limita il potere giudiziario, lo rafforza. Non lo sottopone a controllo, lo arma. E non contro “chiunque”, ma contro chi rientra nei soliti bersagli.

Sicurezza, ma per chi?

Il punto non è se queste misure siano “di destra” o “di sinistra”. Il punto è che vengono calate in un quadro istituzionale che non è cambiato, dove leggi e regolamenti vengono applicati sulla base di una visione ideologica ben definita. Il decreto non cambierà questa realtà. Anzi, rischia di consolidarla ed espanderla. La destra al governo si illude di rafforzare lo Stato. In realtà, rafforza un potere che non controlla, e che da anni reprime sistematicamente tutto ciò che sfugge alla narrazione dominante. Chi ha vissuto il dissenso sulla propria pelle, chi è stato schedato per un volantino o un corteo, chi ha subito per aver espresso un’opinione non allineata o per essere seduto nel settore “sbagliato” dello stadio, sa bene che la sicurezza non è mai neutrale. E oggi, come ieri, sarà ancora così. Solo con qualche legge in più a disposizione.

Sergio Filacchioni

You may also like

Commenta

Redazione

Chi Siamo

Il Primato Nazionale plurisettimanale online indipendente;

Newsletter

Iscriviti alla newsletter



© Copyright 2023 Il Primato Nazionale – Tutti i diritti riservati