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Dominique Venner e lo shock della storia: la tradizione come rivolta

by Sergio Filacchioni
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Roma, 8 giu – Nel panorama intellettuale europeo, raramente un’opera riesce a fondere autobiografia, riflessione storica e visione metapolitica con la forza e la lucidità che troviamo in Lo shock della storia (Le choc de l’histoire, 2011) di Dominique Venner.

L’approccio eretico alla storia di Venner

Non si tratta di un semplice libro di memorie né di un saggio storiografico canonico: è una dichiarazione di guerra culturale, una sfida alla storiografia accademica e al relativismo che permea la modernità. Venner ci consegna un’opera-testamento, composta in forma di dialogo, che fonde pensiero e vita, memoria e dottrina, radice e decisione. Dominique Venner rifiuta apertamente il ruolo dello storico neutrale. Il suo sguardo è parziale, identitario, spirituale. Per lui, la storia è «una forma di resistenza contro l’oblio e la dissoluzione», e la tradizione è ciò che ci permette di restare ciò che siamo. Un discorso lucido e spietatamente pragmatico: «Senza le nostre tradizioni siamo destinati a diventare nulla; a sparire nel caos, e nel caos di un mondo dominato da altri». La sua critica alla modernità universalista è implacabile. Se l’Europa ha creduto di poter dominare il mondo in nome di valori astratti, ecco che ora viene invasa nel nome degli stessi: «Dopo aver colonizzato altri popoli in nome dell’universalismo, gli europei sono ora in procinto di essere colonizzati in nome dello stesso principio, contro il quale non sanno più come difendersi». Questo è lo shock della storia: una civiltà smemorata, disarmata spiritualmente, sottomessa moralmente.

Tradizione come metapolitica

Il cuore dell’opera è il recupero di una memoria profonda, pre-cristiana e archetipica, incarnata nei poemi omerici, nelle saghe celtiche, nelle leggende germaniche. «È importante – afferma – che gli europei si considerino figli di Omero, Ulisse e Penelope». Perché la tradizione europea non coincide con il cristianesimo, e può sopravvivere alla sua crisi. La radice è più antica, più vasta: «La tradizione europea, le cui origini sono anteriori al cristianesimo […] può conciliarsi sia con le convinzioni religiose che con la loro assenza, poiché queste sono diventate una questione privata». Questa non è nostalgia né culto del passato, ma una strategia di sopravvivenza identitaria. È la forma che salva: la verticalità, l’ordine, l’equilibrio tra logos e ethos. «La verticalità è intrinseca alla mascolinità e all’antico ordine europeo. Ordina idee e persone nella gerarchia. L’ordine di Omero è verticale».

Il suicidio di Venner come gesto sacro

Il tema della morte volontaria attraversa tutto il libro. Per Venner, essa è un gesto di libertà e testimonianza, in linea con la concezione pagana del morire: «Il mondo classico non aveva problemi con chi decideva di porre fine alla propria vita dopo attenta riflessione, per evitare un’esistenza insopportabile». Cita Yukio Mishima, Drieu La Rochelle, Montherlant: uomini che hanno scelto di uscire dal mondo come gesto estetico e politico. Anche la morte, per Venner, è atto di forma. Il suo suicidio rituale avvenuto il 21 maggio del 2013 altro non è che la testimonianza massima della sua intera esistenza. Una morte che non è rimasta inascoltata, innescando un moto di coscienze i cui effetti non sono ancora quantificabili.

Uno storico dalla parte della civiltà

A differenza degli storici accademici, Venner non finge imparzialità. Ma non è neppure un ideologo. Il suo lavoro filologico, la sua direzione di riviste come La Nouvelle Revue d’Histoire o Enquêtes sur l’histoire, dimostra rigore metodologico e capacità di trattare anche autori lontani dal suo sentire con rispetto, come scrive Paul Gottfried nell’introduzione dell’edizione inglese: «Nonostante il suo ben noto disgusto per la religione cristiana, le sue riviste danno poca indicazione di questo pregiudizio anti-cristiano. Qui, Venner tratta i contro-rivoluzionari cattolici come pensatori seri e presenta le loro idee religiose e politiche in modo imparziale». Non uno storico “di parte”, ma certamente un intellettuale militante con metodo.

Venner, oltre il mito: coscienza e corpo

Negli ambienti culturali non conformi, Venner è accostato a pensatori come Julius Evola, Giorgio Locchi o Alain de Benoist. È vero che tutti condividono una visione “tragica” della storia e un netto rifiuto del progressismo. Ma Venner ha un tratto distintivo: lontano da qualsiasi formula o deità, vuole riattivare una forma perduta, ma potenzialmente praticabile. Se l’opera metastorica di Locchi parla di “destino” europeo e storicità autentica come campo di possibilità, Venner parte da alcune semplici professioni/riflessioni: «Io esisto solo attraverso le mie radici, una tradizione, una storia, un territorio». Un credo religiosissimo che non ha bisogno di parlare di Dio. Una tradizione che non è metafisica ma appartenenza sanguigna ad una terra e il suo paesaggio. Venner vuole restaurare una forma di coscienza corporea, fatta di stile, coraggio, consapevolezza. Un superuomo delle foreste e della polis.

Una filosofia della storia tragica, non determinista

Venner rifiuta ogni visione deterministica della storia, sia essa marxista (progressiva), spengleriana (declinista) o liberal-democratica (alla Fukuyama). È invece un ottimista tragico, che crede nella forza dormiente delle civiltà: «La storia ci insegna che l’imprevedibile è sovrano, e che il futuro è spesso impensabile. Nessuno nel 1910 immaginava ciò che sarebbe accaduto nel 1914». E ancora: «Credo nelle qualità specifiche degli europei, oggi addormentate. Credo nell’individualità attiva, nell’inventiva e nel risveglio dell’energia. Questo risveglio arriverà». Insomma, la storia si configura e riconfigura sempre sotto la spinta della volontà: la “rottura” – come l’avrebbe chiamata Locchi – può sempre avvenire, in ogni momento.

Pensare oltre la fine

Lo shock della storia è un testo che non ci può consolare. Non addolcisce la realtà. La guarda in faccia, con la severità di chi sa che l’identità non si può semplicemente ereditare: si conquista, come tutto il resto. Per chi rifiuta l’omologazione globalista, per chi cerca una via radicale ma radicata, per chi vuole essere erede e non consumatore, questo libro è un punto di partenza e una sfida. Venner ci lascia una consegna: “La tradizione non è il passato. È ciò che ci permette di avere un futuro”.

Sergio Filacchioni

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