Roma, 20 ago – La Germania si trova davanti a un paradosso epocale. Mentre il governo guidato da Friedrich Merz prova a imprimere una svolta decisiva al sistema d’accoglienza, emergono i danni di oltre quindici anni di porte spalancate: i cittadini tedeschi abbandonano il Paese come mai prima. E non si tratta di studenti in cerca d’avventura o di pensionati in fuga fiscale, ma proprio di quella fascia giovane, istruita e qualificata di cui Berlino avrebbe disperato bisogno per reggere la competizione globale e l’inverno demografico.
La Germania alle prese con un’emigrazione senza precedenti
I dati ufficiali sono impietosi. Secondo l’Ufficio federale di statistica (DeStatis), nei primi quattro mesi del 2025 hanno lasciato la Germania oltre 93.000 cittadini tedeschi, contro gli 80.105 del 2024 e gli 83.109 del 2023 nello stesso periodo. Se il trend verrà confermato, il 2025 segnerà un record storico. Già nel 2024 i tedeschi emigrati erano stati 270.000, quasi il doppio rispetto al 2010. Nel frattempo, solo tra gennaio e aprile 2025 sono entrati nel Paese 427.246 stranieri, con un saldo netto positivo di 126.526. Tra il 2022 e il 2025 la Germania ha guadagnato oltre 2 milioni di immigrati non tedeschi, mentre nello stesso periodo più di 260.000 tedeschi hanno lasciato definitivamente la patria. In parole semplici: la Germania cresce solo grazie agli stranieri, mentre la componente autoctona si restringe costantemente. A partire non sono figure marginali, ma accademici, imprenditori, professionisti e operai specializzati. Circa la metà degli emigranti ha tra i 25 e i 49 anni, nel pieno della vita lavorativa. «Dal Covid abbiamo visto un’impennata enorme di richieste di emigrazione», spiega Christoph Heuermann, consulente della società Staatenlos. Negli Stati Uniti, racconta l’avvocato Manny Schoenhuber, quasi un quinto della clientela è composta da tedeschi che scelgono il trasferimento definitivo oltreoceano, attratti da tasse più basse e maggiore libertà d’impresa. Dietro questi numeri ci sono storie che suonano come un atto d’accusa: burocrazia soffocante, pressione fiscale insostenibile, restrizioni arbitrarie durante la pandemia, sfiducia crescente nella politica.
Il paradosso dell’integrazione: più stranieri alienati
Il paradosso è che nemmeno chi in Germania ci è nato da genitori immigrati oggi si sente davvero a casa. Una recente inchiesta ha raccolto le voci di giovani di seconda e terza generazione che parlano apertamente di emigrare. Secondo il DeZIM, quasi un quarto dei ragazzi con radici straniere pensa di lasciare il Paese, contro il 10% dei tedeschi. «È un senso di minaccia costante», spiega il sociologo Andreas Zick, che segnala anche un calo di fiducia nella democrazia e un aumento delle simpatie populiste. Neppure chi è cresciuto a Berlino, Monaco o Colonia sembra riconoscersi più nel modello multiculturale. Ecco il cortocircuito: da un lato i tedeschi se ne vanno, dall’altro anche gli “integrati” si sentono estranei. La risposta politica è stata un’inversione netta. Con l’arrivo di Merz alla Cancelleria, Berlino ha imboccato la via delle espulsioni rapide: rimpatri agevolati, custodia preventiva fino a 28 giorni, più poteri di perquisizione alle autorità. Nei primi mesi del 2025 i voli di rimpatrio sono già aumentati, con episodi eclatanti come quello degli 81 afghani espulsi in luglio. All’aeroporto di Monaco è già previsto un “deportation terminal”, operativo dal 2027, capace di gestire fino a cento espulsioni al giorno.
Dalla Germania un monito per tutti
Il mito dell’accoglienza, dunque, si è rovesciato nel suo contrario: invece di garantire coesione e prosperità, ha prodotto esodo dei tedeschi, alienazione delle seconde generazioni e crescita di una società divisa e sfiduciata. Oggi Berlino tenta di correre ai ripari con la repressione e le espulsioni, ma resta l’evidenza di un fallimento strutturale: la Germania cresce solo grazie all’immigrazione, mentre la sua identità si dissolve. Un monito per l’Italia e per tutta l’Europa: le “porte aperte” – soprattutto quelle regolari – non rafforzano una nazione, la svuotano.
Vincenzo Monti