Roma, 3 nov – Con 112 voti favorevoli su 180, il Senato ha approvato a maggioranza assoluta in quarta lettura la riforma dell’ordinamento giurisdizionale, da sempre cavallo di battaglia del Ministro della Giustizia Carlo Nordio e definito dal premier Meloni come un “traguardo storico”. Ma che cosa prevede la novella e perché ha suscitato un così ampio dibattito?
La giustizia verso una riforma storica
Al fine di ledere quell’autoreferenzialità del potere che ha caratterizzato il mondo della giustizia italiana dai tempi di Tangentopoli, la riforma ha voluto separare nettamente i magistrati requirenti – ossia i PM – dai giudici, impedendo cambi di carriera e andando ad incidere sull’organo di autogoverno della magistratura, dividendolo in due: da un lato il Consiglio Superiore della Magistratura requirente, dall’altro lato il CSM giudicante, ai quali spetteranno i provvedimenti interni, come assunzioni e trasferimenti, nei confronti dei magistrati appartenenti alle rispettive carriere. Grande novità è poi l’istituzione dell’Alta Corte disciplinare, un ulteriore organo di autogoverno della magistratura, competente per la giurisdizione disciplinare nei riguardi dei magistrati, la quale è da sempre questione al centro del dibattito vista la sua scarsa efficacia e l’immagine di disparità tra togati e cittadini comuni che ne consegue. Ciò che più spaventa i detrattori della riforma, però, è l’abrogazione del sistema elettivo dei membri dei tre organi e la sua sostituzione con un sistema d’estrazione a sorte, in parte anche sulla base di liste votate dal Parlamento, che secondo loro potrebbe, unitamente alla frammentazione del CSM, portare ad un indebolimento della magistratura.
Stop alle correnti interne alla magistratura
Appare evidente come il disegno di legge costituzionale abbia l’obiettivo dichiarato di porre un argine alle manifestazioni patologiche del fenomeno correntizio interno alla magistratura, portate agli onori della cronaca dall’ex presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Luca Palamara, il quale, con il libro Il Sistema, smascherò le reti di potere interne alla magistratura, tra clientelismo, patronage e autoreferenzialità del potere, di cui egli stesso approfittò in precedenza. Con meno di un decimo della popolazione che afferma di avere un alto livello di fiducia nei confronti della magistratura e dove è ormai palese l’incapacità dei magistrati, sia essa dovuta ad inettitudine o a connivenza, di ostracizzare chi abusi del fenomeno delle correnti per fare gli interessi propri e della propria cerchia, pare allora ovvio che una riforma della giustizia sia necessaria. L’indipendenza della magistratura e, in definitiva, l’imparzialità dell’organo giurisdizionale sono caratteristiche imprescindibili di un paese che si definisca civile e l’esperienza concreta e quotidiana delle ingiustizie che si verificano nelle aule di tribunale fa sperare un po’ tutti in una riforma della giustizia in grado di rendere la magistratura, anche all’apparenza, non più un organo intoccabile e protagonista del contesto socio-politico del paese, bensì uno strumento di tutela della collettività.
Una magistratura lontana dall’ideale di giustizia
In ogni caso, non essendo stato approvato con maggioranza dei due terzi, il disegno di legge costituzionale potrebbe trovare dinnanzi a sé ulteriori ostacoli prima di diventare concretamente operativo: qualora un quinto dei membri di una camera, cinquecentomila elettori o cinque consigli regionali lo richiedessero, si dovrà procedere a referendum popolare, senza quorum, circa la sua approvazione. Quale che sia l’esito, se è vero che fenomeni come le inchieste ad orologeria, l’intreccio tra giustizia, politica e affari e la quasi totale assenza di responsabilità dei giudici ledono non solo la credibilità, ma anche l’efficienza stessa della giustizia in Italia, dall’altro lato permangono ragionevoli dubbi circa la concreta efficacia di questa riforma e gli effetti che ne conseguiranno. Ciò che rimane indubbio, però, è che la battaglia portata avanti dal Governo è riuscita quanto meno a porre l’attenzione sul decadente stato in cui si trova al momento la magistratura italiana, ormai sempre più distante dall’ideale di Giustizia che dovrebbe animare le aule di tribunale e sempre più serrata nella difesa del proprio status quo, fatto tanto di privilegi, potere, influenza, e troppo poco di imparzialità, terzietà ed equità.
Edoardo Padovani