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Libano, l’ultimatum americano a Hezbollah: la miccia è accesa

by Sergio Filacchioni
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Hezbollah

Roma, 1 ago – Il Libano torna sull’orlo del collasso, e questa volta non per una crisi interna o un’esplosione accidentale. A far tremare Beirut è un ultimatum che arriva da oltreoceano, firmato Washington, ma benedetto da Tel Aviv. Gli Stati Uniti hanno chiesto – per meglio dire, imposto – al governo libanese un impegno formale per il disarmo di Hezbollah. Una richiesta che non ha nulla della diplomazia, e tutto del ricatto. Se Beirut non firmerà, non ci saranno né pressioni su Israele per un cessate il fuoco, né ritiri militari dal Sud del Libano. Al contrario, ci sarà l’isolamento internazionale. E forse – com’è nella logica dei fatti – una nuova guerra.

Il piano Usa: smantellare Hezbollah

L’iniziativa americana, sostenuta informalmente anche da Israele, punta a colpire al cuore la rete di alleanze che unisce Hezbollah e Teheran. Obbligare il Libano a rinnegare il proprio partito più radicato e organizzato significherebbe rompere l’asse sciita che da anni resiste all’espansionismo israeliano. Non a caso, il movimento di Hassan Nasrallah, assassinato il 24 settembre 2024, rappresenta per Israele una minaccia strategica: razzi, droni armati, incursioni nel Nord, capacità di colpire in profondità. Le continue operazioni israeliane nel Sud del Libano non sono difensive, ma logoranti: servono a provocare la reazione di Hezbollah e a preparare l’opinione pubblica internazionale a una futura escalation. Per gli Usa, però, la posta è ancora più alta: ottenere una vittoria geopolitica in Libano significherebbe ridisegnare gli equilibri dell’intero Levante, disarticolare il fronte della resistenza filo-iraniana e lanciare un messaggio a tutti gli attori “non allineati” del Mediterraneo orientale. Ma a che prezzo?

Hezbollah non arretra: «Prima si ritiri Israele»

Da parte sua, Hezbollah ha già fatto sapere che il disarmo non è un’opzione. Fonti interne hanno parlato, al massimo, di una “riduzione dell’arsenale”, ma solo a patto che Israele ritiri le truppe e cessi gli attacchi con droni. Una posizione simmetrica a quella americana, segno di un’impasse ormai strutturale. Il partito sciita, considerato a tutti gli effetti uno Stato nello Stato, continua a godere di ampio consenso popolare soprattutto nel Sud del Paese, dove supplisce all’assenza cronica dello Stato con reti di welfare, ospedali, scuole, e un sistema di protezione armata da cui dipendono migliaia di famiglie. Svuotare Hezbollah delle sue armi significherebbe disintegrare la fragile tenuta sociale di intere regioni, provocando disoccupazione, insicurezza e rabbia. Tutto il contrario di ciò che il Libano oggi avrebbe bisogno, stretto tra crisi economica, corruzione politica e collasso istituzionale.

Il governo Salam sotto ricatto

Il governo guidato da Najib Salam è a un passo dal baratro. Se firma il documento richiesto da Washington, rischia la guerra civile con Hezbollah e i suoi alleati, primo fra tutti Nabih Berri, storico leader sciita e presidente del Parlamento. Se rifiuta, rischia di essere abbandonato dalla “comunità internazionale” e lasciato solo davanti alle rappresaglie israeliane. Un gioco al massacro, dove ogni opzione conduce al disastro. A tentare una mediazione è proprio Berri, che avrebbe chiesto agli Usa garanzie concrete sul cessate il fuoco prima di parlare di disarmo. Ma la risposta americana è stata secca: prima Hezbollah deponga le armi, poi si discuterà di pace. In realtà, è evidente che la pace non rientra nei piani di chi, da mesi, spinge per un’escalation controllata con l’obiettivo di ridefinire il Medio Oriente secondo gli interessi israeliani e atlantici.

Un’esplosione annunciata

Il rischio è che il Libano scivoli in una seconda e ben più catastrofica guerra civile, e che quindi diventi il prossimo epicentro del caos mediorientale. Il paese dei cedri è già in macerie: una valuta al collasso, un sistema bancario fallito, blackout quotidiani, e un tasso di disoccupazione giovanile superiore al 40%. In questo scenario, togliere l’unico pilastro armato che ha finora resistito all’aggressione israeliana equivale ad aprire le porte all’invasione o alla guerra civile. Ma non è solo una questione militare. In gioco c’è anche il controllo delle rotte energetiche nel Mediterraneo orientale. Hezbollah, con la sua presenza armata nelle aree meridionali, ha un ruolo diretto nei giochi di potere sui giacimenti offshore, oggi contesi tra Libano e Israele. Dietro le pressioni per il disarmo si nasconde anche la volontà, americana ed europea, di estromettere possibili ostacoli dalla partita energetica mediterranea.

Una partita pericolosa

Gli Stati Uniti stanno giocando una partita pericolosa, tentando di piegare Beirut più con la minaccia che con la diplomazia. Ma il Libano, nella sua storica fragilità, è da sempre una polveriera pronta a esplodere – e anche una scommessa ad alto rischio. L’ultima volta che qualcuno ha osato accendere la miccia, il risultato è stato una guerra civile durata quindici anni. Oggi, l’ultimatum americano rischia di essere quella stessa scintilla. E come sempre, a pagare il prezzo più alto sarà un popolo stremato da decenni di guerre imposte dall’esterno.

Sergio Filacchioni

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