Roma, 27 ott – C’è sempre un “fascismo” pronto all’uso. Basta che qualcuno — chiunque — osi infrangere la comfort zone dello studente di sinistra, e subito scatta la parola magica: “assalto fascista”. Può trattarsi di un volantinaggio, di uno striscione appeso, di un confronto acceso, o, come a Genova, di un gruppo di ragazzi che devasta una scuola. L’importante è che la narrativa sia salva: l’eroica resistenza antifascista contro l’eterna minaccia nera.
A Genova nascono i “maranza del Duce”
L’episodio del liceo Leonardo da Vinci di Genova ne è l’ennesima prova. Nella notte tra sabato e domenica, un gruppo di ragazzi ha fatto irruzione nella scuola occupata “in solidarietà con Gaza”. Mazze, estintori, banchi distrutti, una svastica sul muro e urla “viva il Duce”. La cronaca si scrive da sé: “aggressione fascista”, “attacco alla democrazia”, “gravissimo episodio neofascista”. Il rituale mediatico si compie in poche ore, con la politica che da ambo le parti si indigna in coro mentre la morale antifascista distribuisce patenti e scomuniche. Ma la questura, evidentemente meno incline al teatro, specifica: “ragazzi giovanissimi, 15-17 anni, descritti come maranza”. Nessuna organizzazione, nessuna rivendicazione, nessun simbolo riconducibile a gruppi politici reali. In altre parole: teppismo adolescenziale.
Il maranza che non piace alla sinistra
Si sa, senza un nemico il progressismo militante si sgonfia. Per questo, ogni volta che un episodio sfugge alla sua narrazione — una rissa, un gesto ribelle, un disagio giovanile — deve essere tradotto nel linguaggio dell’antifascismo. Non può esistere devianza che non sia ideologica, ribellione che non sia politica, disordine che non sia “nero”. Eppure, c’è di più. Perché la sinistra, i maranza, è già da tempo che prova a indirizzarli. Come ricordava un recente articolo di questo giornale, ispirato ai testi della militante franco-algerina Houria Bouteldja, a sinistra della sinistra da anni si cerca di costruire un nuovo soggetto politico: l’“alleanza dei barbari”, il sottoproletariato meticcio da mobilitare contro l’“ordine bianco, patriarcale ed europeo”. In questo schema, il maranza non è più un ragazzo perso tra musica trap, periferia e disagio: diventa un “barbaro urbano” da redimere e inquadrare in chiave rivoluzionaria.
La provocazione fascista
Il paradosso è evidente. La stessa sinistra che oggi grida allo scandalo perché un gruppo di adolescenti rompe dei banchi e disegna una svastica, è quella che negli ultimi anni ha romanticizzato la rabbia sociale quando veniva da altri fronti: i rave, le occupazioni, i centri sociali, le piazze contro la polizia. «Tout le monde déteste la police!», cantano da anni le piazze antagoniste. L’importante è che non compaiano croci uncinate, perchè se la violenza “di sinistra” è sempre comprensibile, santissima e giusta, quella “senza direzione” dev’essere subito condannata. Ma la realtà è più cruda e meno utile alla propaganda: i ragazzi che hanno fatto irruzione nella scuola non sono né fascisti né rivoluzionari. Ma se oggi si divertono a urlare “viva il Duce”, è solo perché la provocazione è l’ultimo linguaggio rimasto per farsi notare. E qual è oggi l’unica, vera, grande provocazione rimasta? La posa del fascista.
Una parodia del conflitto
La sinistra, ovviamente, invece di ammettere il proprio fallimento educativo, preferisce fingere che dietro ogni violenza ci sia del fascismo. È più comodo, più utile, più redditizio. Ma in fin dei conti, “i maranza del Duce” non sono altro che il riflesso di una destra che non crede più in nulla e che ha delegato alla retorica antifascista il compito di spiegare ogni cosa. Il risultato è una parodia del conflitto: perchè ogni volta che il conflitto diventa spettacolo, il potere si rafforza. E alla fine resta questo: “barbari” addomesticati, “fascisti” inventati, rabbia ridotta a moralismo. Il problema però non è chi urla “viva il Duce”, ma chi non ha più nulla da urlare.
Vincenzo Monti