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L’eroismo nel cuore della modernità: le Riflessioni sulla violenza di Sorel

by Sergio Filacchioni
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Sorel

Roma, 16 giu – In un’epoca come la nostra, dove la parola “violenza” viene utilizzata con superficialità, imbavagliata da una retorica pacifista e legalitaria, rileggere Riflessioni sulla Violenza di Georges Sorel (1908) significa immergersi in un pensiero radicale, tragico e profondamente moderno. Sorel fu un pensatore isolato, alieno tanto al riformismo quanto alla borghesia progressista. Proprio per questo, incompreso dai suoi contemporanei, fu maestro segreto di molti protagonisti della storia europea del XX secolo. Fra questi, non si può non annoverare Benito Mussolini, che da giovane socialista trasse ispirazione proprio dalle pagine di Sorel.

Sorel, un socialista atipico

Il libro, infatti, è un inno al mito e alla volontà, un rifiuto del razionalismo decadente della Terza Repubblica francese e un attacco frontale alla decadenza morale della borghesia. La violenza, per Sorel, non è un mezzo criminale o accidentale, ma un principio etico-creativo. Essa è “il gesto rigeneratore delle masse, che distrugge le illusioni della democrazia e apre la via a un’epoca nuova”. Essa non è disordinata brutalità, ma l’espressione suprema della volontà etica del produttore: “Il mito dello sciopero generale esercita sull’anima una funzione analoga a quella della guerra santa del primo cristianesimo”. La forza innovativa del pensiero soreliano si trova nella sua critica alle illusioni del parlamentarismo e del socialismo riformista. La democrazia borghese, dice Sorel, produce “una letteratura di disillusione e compromesso”, mentre solo il mito (in senso bergsoniano) può risvegliare negli uomini la grandezza dello spirito. Il proletariato – o chi per esso – deve concepire il proprio compito storico in termini quasi religiosi, come battaglia escatologica contro il disordine costituito. In questo senso, il Sorel di Riflessioni sulla violenza non è tanto il pensatore del socialismo quanto il profeta dell’intransigenza rivoluzionaria.

L’Europa è un campo di battaglia

Sebbene Sorel non presenti una visione sistematica dell’Europa, le sue riflessioni delineano un giudizio implicito ma netto su di essa. L’Europa è, per lui, la culla della civiltà borghese decadente, un continente in cui “da quando è diventato facile guadagnare denaro, si sono diffuse idee analoghe a quelle in voga in America”. In questo senso, l’Europa non è un progetto o una speranza, ma il terreno di una corruzione morale radicata. All’interno del continente, Sorel distingue tra la Francia e l’Inghilterra – più inclini al parlamentarismo, al compromesso, al declino – e una Germania ancora legata a virtù antiche e a una visione del mondo più severa e disciplinata. La civiltà europea, dice, è segnata da crisi ricorrenti e da illusioni di progresso che si infrangono nella stagnazione: “Una rivoluzione che ha avuto luogo in un tempo di decadenza economica ha costretto il mondo a passare nuovamente attraverso un periodo di civiltà quasi primitiva”. L’Europa appare dunque non come comunità di destino, ma come campo di battaglia del mito e della violenza rigeneratrice, in cui si alternano corruzione e rinascita, stagnazione e volontà eroica. Non vi è in Sorel alcun cosmopolitismo umanitario: ciò che salva l’uomo europeo è la capacità di generare nuovi miti, nuovi atti di volontà collettiva, nuove “guerre sante” contro la decadenza. La vera rigenerazione, per Sorel, nasce solo “fuori dalla democrazia”, da uno slancio morale che ricorda quello dell’Europa classica e cristiana, capace di ricostruire il mondo dopo il crollo: non si tratta di tornare indietro, ma di attingere a un’energia arcaica, anti-borghese e pre-liberale, che distrugga la corruzione del presente.

Il Fascismo e Sorel

Ed è proprio in questa tensione verso il trascendente, verso il sacrificio per l’Idea, che troviamo i semi del Fascismo. Non del Fascismo dottrinario o istituzionale, ma di quello spirituale, eroico, pre-politico. Mussolini, che lesse e tradusse Sorel, comprese che la rivoluzione fascista non poteva essere un programma di riforme, ma doveva essere un moto dell’anima, un mito vissuto. Il culto dell’azione, del dovere, del disprezzo per il benessere borghese – tutti tratti soreliani – furono centrali nell’estetica fascista della lotta. “È meglio avere stimolato l’invenzione negli uomini che aver ottenuto l’approvazione banale di coloro che ripetono formule”. Non a caso, anche in Italia i sindacalisti rivoluzionari – da De Ambris a Corridoni – lessero Sorel come un precursore, e furono i primi a trasformare la teoria della violenza proletaria in prassi nazional-rivoluzionaria. Il passaggio dalla “rivoluzione del lavoro” alla “rivoluzione della Nazione” fu breve: la figura del produttore soreliano si fuse con quella del combattente fascista. Infatti in Sorel il “produttore” non è solo l’operaio: è l’uomo che crea, costruisce, fatica con disciplina, rifiutando il parassitismo borghese e il sentimentalismo democratico. È l’uomo che vive secondo etica del lavoro, responsabilità e sacrificio. In questo, egli è già figura eroica. Quando il mito soreliano viene recepito dai sindacalisti rivoluzionari italiani e poi dal Fascismo nascente, questa figura si trasforma nel “combattente”: colui che non produce solo beni, ma ordine, identità, storia. Il fucile prende il posto dell’incudine, ma lo spirito resta: azione disinteressata, disprezzo per il comfort, tensione verso la grandezza. L’eroe fascista eredita dal produttore soreliano il culto della disciplina, del dovere e della lotta come creazione. La nazione, come il lavoro, è qualcosa da difendere e forgiare. In questo passaggio simbolico si compie la fusione tra la morale del lavoro e la mistica dell’azione.

L’epoca degli eroi deve tornare

Sorel non avrebbe riconosciuto nella violenza urbana moderna – da Los Angeles a Parigi – la forza rigeneratrice che attribuiva alla “violenza proletaria”. Per lui, la vera violenza è etica, disciplinata, fondata su un mito collettivo: è il gesto eroico del produttore che vuole fondare un nuovo ordine. Le rivolte odierne, prive di una visione del mondo, apparirebbero ai suoi occhi come esplosioni nichiliste, sfoghi senza fondamento spirituale. “La violenza è creatrice quando è mossa da un’idea”, avrebbe detto. Senza mito, la violenza non rigenera: distrugge e si esaurisce nel caos. La differenza è netta: c’è violenza che fonda e violenza che consuma. In conclusione, Riflessioni sulla violenza è un’opera dirompente, ancora oggi capace di interrogare le anime non pacificate. In Sorel, la politica torna ad essere tragedia e fede, non gestione amministrativa. La sua eredità – pur distorta da letture superficiali – resta fondamentale per comprendere le origini spirituali del Fascismo e la necessità di un pensiero capace di andare oltre il positivismo democratico. “È compito del pensatore risvegliare il fuoco che arde sotto le ceneri dell’anima moderna”. Ecco perchè leggere Sorel significa riscoprire la possibilità dell’eroico nel cuore della modernità.

Sergio Filacchioni

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