Roma, 13 ago – Se è vero che tre indizi fanno una prova, la prova, l’ultima prova è stata costruita con facilità solo nell’ultimo mese di lavoro. La politica è andata in vacanza, ma i dubbi del modus operandi della magistratura, o almeno di una corrente di essa, non sono di certo rimandati a settembre.
Le crescenti ingerenze della magistratura
Potrebbero essere questi gli argomenti sotto l’ombrellone quest’anno, ma questa è una strana estate che ancora non consegna il suo delitto su cui reinventarsi tutti periti balistici, navigati medici legali e ineccepibili detective. Un’estate in cui tutti tifano per la pace tra Russia e Ucraina, ma nessuno si dice interessato alle condizioni della pace. Se mai faranno la pace, visto che la Russia ha ormai un’economia di guerra; un’estate in cui tutti accolgono con indifferenza le gravi e per nulla celate dichiarazioni di scambi di territori finendo per tifare per l’aggressore anelato quale nuovo padrone, ritrovandosi a indignarsi con chi difende la propria identità alla stessa maniera con cui ci si indigna per il caro-ombrellone. Che non è una condizione essenziale obbligatoria. Sembra la nenia già recitata dal divano, da dove ci si disturba per una guerra combattuta dagli altri anche per noi: puoi mettere mai la morte di ragazzi che hanno finito la loro vita in trincea contro l’odioso, insopportabile fastidio dell’aumento della bolletta del gas?
Solo poco prima della pausa estiva, la magistratura si è guadagnato il ruolo da protagonista in almeno tre questioni: circa le infrastrutture di Genova, sull’urbanistica di Milano e a proposito del fenomeno migratorio dell’Italia e dell’Europa in generale. Prendersela con l’Europa – per dire Unione europea – è una mera chiacchiera da ombrellone, visto che la decisione di stabilire se un Paese sia sicuro o meno, quindi quella di rimpatriare o permanere è venuta dalla Commissione Europea di Giustizia che si è espressa in maniera non proprio concorde col suo parlamento e la sua commissione. Quindi, un giudice lontano migliaia di chilometri dal posto per cui decide vita e morte dei suoi abitanti.
Che le toghe, ormai, si rendano protagoniste di continue crescenti ingerenze nella vita politica delle Nazioni è cosa ormai nota e per la quale non c’è bisogno di indizi né di prova alcuna. E se questo, da un lato, porta i togati a godere di sempre meno simpatia tra i cittadini – nonostante persino la Meloni si schieri al fianco del sindaco Sala – dall’altro non c’è certo il governo voluto dagli stessi cittadini perché questo è sì il governo che ha in agenda la riforma della magistratura, ma è anche lo stesso esecutivo che con il decreto flussi ha aperto le porte (e i porti) a qualcosa come mezzo milione di clandestini. Questo provvedimento, però, non ha sortito alcun effetto simpatia degli ermellini verso la formazione di governo né ha mitigato la loro azione giudiziaria.
Un segnale all’esecutivo
Certo, qualcuno potrebbe legare questa particolare alacrità dei giudici all’ormai imminente riforma della giustizia che ha incassato il placet anche dal Senato e proprio prima delle ferie agostane; qualcuno potrebbe vedere, cosa mai vista prima, un chiaro segnale all’esecutivo nelle persone di un Sottosegretario, di due Ministri e del loro Presidente nel voler procedere penalmente contro di loro.
E se questo non fosse il fine, ma solo il mezzo? Mi spiego meglio: a guardare (anche non tanto) bene, è innegabile che la magistratura tenda a esercitare un controllo sull’azione politica del governo; provi a imporre il proprio modo di vedere e di fare le cose, pur senza presentare alcun programma; tenda a governare pur senza chiedere il consenso ai cittadini. Non stupisce, allora, che goda di sempre meno popolarità e fiducia presso il popolo, ma la cosa è addirittura ininfluente. Chi comanda fa legge e la legge non è certo uguale per tutti se, anziché applicarla, ci si spertica per interpretarla. Ma solo per l’indotto. Anzi, in barba a ogni democrazia & partecipazione, si pretende di governare (voce del verbo comandare) senza passare per la liturgia elettorale, come i vari Di Pietro, Grasso, de Magistris, Maresca (non) insegnano. Salvo, poi, tornare a fare i togati come se nulla fosse stato, con la stessa facilità con cui si vorrebbe giudicare l’imputato dopo una vita professionale passata ad accusare.
Una repubblica giudiziaria?
In principio ci fu Mani Pulite che, al netto delle idee, delle ideologie e delle simpatie, altro non è stato che un golpe. Un colpo di stato ottimamente architettato a opera di un eroe/vittima incapace di riciclarsi persino in politica, ma oggi l’eroe di tocco munito non miete più gli stessi consensi di trent’anni fa.
La storia potrebbe ripetersi, ma stavolta senza genuflettersi a urne e matite. Ormai non c’è più destra né sinistra, i partiti sono partiti nel senso di participio passato del termine. Lo stesso vale per lo stato; le scuole politiche non esistono più, le ammucchiate si autodefiniscono campo largo, i personaggi sono stati sostituiti dalla “coltura” dell’uno vale l’altro pure se non vale niente; la prima, la seconda e la terza repubblica sono cessate e adesso potrebbe essere il tempo della repubblica giudiziaria.
Nessuno dell’opposizione vuole la crisi di governo perché sanno che dopo l’esecutivo Meloni ci sarebbero solo le elezioni. Nessun Draghi, Draghi bis, Draghi ter né Conte uno, due, tre… Allora potrebbe essere questo il fine del partito dei giudici: una nuova forma di governo, la repubblica giudiziaria che non sarebbe nemmeno il fine ultimo, pure se sarebbe la fine. Ma se questo modus operandi si estendesse anche al mondo dell’economia, della finanza, della libertà di stampa, di ogni altro settore chi farebbe da argine? Chi potrebbe contrastarli? Chi potrebbe più fare giustizia?
Tony Fabrizio