Roma, 7 ago – “Solo i migranti possono sostenere l’economia”. Non è un titolo di Repubblica, né un’uscita improvvida di qualche ONG progressista. È la frase contenuta nella relazione tecnica del governo Meloni al nuovo Decreto Flussi, firmata dal sottosegretario Alfredo Mantovano.
Il dogma dei migranti indispensabili
Una frase che, se non fosse tragicamente reale, suonerebbe come una provocazione ideologica. Invece è la sintesi perfetta della nuova traiettoria dell’esecutivo: una resa incondizionata al dogma dell’immigrazione strutturale. Il Decreto – approvato il 3 luglio – spalanca le porte a 497.000 ingressi regolari nel triennio 2026-2028. Ufficialmente per coprire fabbisogni lavorativi “non soddisfabili con risorse interne”. Tradotto: gli italiani non servono più, o peggio, non esistono più, e il futuro della nostra economia sarà nelle mani di manodopera importata in massa dai paesi extraeuropei.
Dal patriottismo economico al globalismo pratico
In campagna elettorale si parlava di “blocco navale”, di “prima gli italiani”, di “lavoro e famiglia al centro delle politiche pubbliche”. Ora si legge nero su bianco che la sopravvivenza del nostro sistema produttivo dipende dall’ingresso controllato e costante di stranieri. L’Italia come magazzino d’Europa, come hub logistico di braccia a basso costo. Ma come si è arrivati a tanto? Attraverso un lento, chirurgico scivolamento dalla retorica sovranista alla prassi liberista, dove le logiche della produzione prevalgono su quelle dell’identità. Non più un popolo, ma una piattaforma produttiva in cerca di forza lavoro da qualsiasi angolo del mondo.
Nessuna strategia per il lavoro italiano
La relazione governativa è impietosa: non una parola su un serio piano nazionale per il lavoro giovanile, nessuna proposta per la formazione tecnica, nessuna strategia di incentivo alla natalità e alla stabilità familiare. Solo il mantra della “manodopera di difficile reperimento”. Difficile da trovare? O difficile da pagare? Invece di agire sulle cause reali – stipendi da fame, tassazione opprimente, politiche familiari inconsistenti – si sceglie la scorciatoia demografica: sostituire gli italiani con stranieri. Con buona pace della narrazione patriottica, siamo al cuore di quella che, anche solo dieci anni fa, veniva definita teoria del complotto: la sostituzione etnica come prassi di governo.
Il ricatto dell’economia basata sui migranti
Chiunque osi criticare questa linea viene immediatamente bollato come “irrazionale” o “ostile alla realtà economica”. Ma la vera domanda è: che tipo di economia vogliamo? Un sistema che sopravvive solo pompando ingressi dall’esterno, anziché rigenerarsi attraverso le sue forze interne, è già un sistema fallito. L’alternativa c’è: lavoro stabile, salari dignitosi, politiche per la natalità, difesa del territorio, ritorno al valore della comunità nazionale. Tutto ciò che non si può fare se si continua a importare soluzioni da fuori, invece di costruirle dentro.
Italiani ultimi nella loro terra
Il governo dichiara di voler “fermare l’immigrazione illegale” favorendo quella “regolare”. Ma se la seconda diventa strutturale e massiccia, la differenza è solo amministrativa, non culturale né politica. Cambia la forma, ma non la sostanza: l’Italia si trasforma in un paese che rimpiazza i suoi figli con braccianti stranieri. E mentre si elogia l’efficienza dei flussi legali, gli italiani restano spettatori del proprio declino, trattati non come protagonisti del futuro, ma come ostacolo al meccanismo produttivo globalizzato. È tempo di dirlo con chiarezza: questa non è politica del lavoro. Questa è ingegneria demografica mascherata da realismo economico.
Vincenzo Monti