Roma, 25 ago – Non mi si comprenderà prima del 2000… Nietzsche aveva senz’altro intuito che il suo pensiero avrebbe avuto una lunga gestazione, e che le generazioni successive ne avrebbero dato interpretazioni diverse, spesso divergenti. Oggi, nel pieno del nuovo secolo, possiamo leggere tre declinazioni emblematiche di questa eredità: quella dello scrittore americano Howard Phillips Lovecraft, quella del fondatore del fascismo Benito Mussolini, e quella dello storico italiano Adriano Romualdi. Tre livelli, non in concorrenza ma in progressione, che delineano tre modi complementari di intendere Nietzsche: il realismo cosmico, la volontà creatrice, la prospettiva metastorica.
Lovecraft e il destino entropico dell’umanità
Nel saggio Nietzscheism and Realism del 1921, Lovecraft affronta l’idea nietzschiana dell’aristocrazia e del superuomo con lo sguardo spietato del materialista e del pessimista cosmico. Ne riconosce la forza, ma ne denuncia i limiti: nessuna élite – secondo il solitario di Providence – può dominare stabilmente una massa più vasta di inferiori, e ogni costruzione politica è condannata a crollare per cicli naturali di ascesa e rovina. La storia non è progresso, ma un’oscillazione eterna fra aristocrazia, democrazia e oclocrazia. A differenza del Nietzsche militante e incendiario, quello di Lovecraft è un Nietzsche tragico: il filosofo che ha intuito la vanità delle costruzioni umane e il destino entropico della civiltà. L’unica funzione dell’aristocrazia, per Lovecraft, è quella di produrre momentanei bagliori estetici e culturali, destinati a spegnersi. La volontà di potenza diventa sforzo titanico, ma senza speranza: nell’universo cieco e meccanico, Arcturus continuerebbe a brillare identico anche se l’umanità fosse spazzata via. Il suo è il Nietzsche della consapevolezza cosmica, il più realistico, il più privo di illusioni: il superuomo non è il fondatore di una nuova epoca, ma colui che crea pur sapendo che ogni creazione finirà nel nulla. Per questo Lovecraft si rifugia nell’arte e nell’estetica come ultimi riflessi di grandezza in un mondo senza scopo.
Mussolini e la rivoluzione del superuomo
Per Mussolini, invece, Nietzsche non è un testimone, ma un detonatore. Fin dal 1908, nel pamphlet La filosofia della forza, il giovane socialista rivoluzionario riconosce nel superuomo la figura che spezza la morale cristiana, l’eguaglianza socialista e l’imbestiamento da gregge. Contro la “legge della solidarietà universale”, Mussolini invoca l’uomo duro che vive al di là del bene e del male, pronto a “creare nuovamente tutto ciò che fu”. Qui Nietzsche diventa il punto di svolta: il fascismo come unica vera volontà di potenza in Europa, l’incarnazione politica del superuomo. Il motto del “vivere pericolosamente” non resta un aforisma, ma diventa parola d’ordine: rovesciare la vita borghese, forgiare un uomo nuovo, costruire l’Impero. Non a caso, negli anni Venti Mussolini non solo dichiara apertamente di essere stato “guarito dal socialismo” dalle opere di Nietzsche, ma sostiene anche economicamente l’Archivio Nietzsche, curato dalla sorella Elisabeth. Il Duce riconosce esplicitamente che il fascismo si fonda sugli insegnamenti di Nietzsche: onore, disciplina, autocontrollo. Il Nietzsche di Mussolini è il Nietzsche storico e politico, quello che diventa Stato, rivoluzione, civiltà. Dove Lovecraft coglie la condanna cosmica, Mussolini vede il riscatto terreno: il filosofo di Röcken diventa per lui la bussola di una nuova antropologia, l’occasione per superare il cristianesimo e il liberalismo e trasformare la Nazione in soggetto etico, fondatore di nuovi valori.
Romualdi: la storia come scelta
Negli anni del secondo dopoguerra, Adriano Romualdi offre una terza lettura ulteriore. In Nietzsche e la mitologia egualitaria si interpreta Nietzsche come il “filo d’oro” che guida fuori dal labirinto moderno, ma a una condizione: che sorga un tipo umano differenziato, capace di ascoltare la “musica dell’avvenire”. Per Romualdi il vero lascito nietzschiano non è tanto un programma politico immediato, né la constatazione cosmica dell’entropia, ma un richiamo alla nascita di un’umanità nuova, aristocratica nel senso più alto. Il cuore della sua lettura è il pathos della distanza: la distanza dagli uomini comuni che stabilisce gerarchie e ranghi, ma anche la distanza metafisica, tensione verso spazi siderali e nuove dimensioni. Nietzsche, così letto, non è morto sotto le rovine del 1945: continua a vivere come segno scomodo, come scandalo irriducibile per l’ideologia democratica, progressista e consumistica che pretende di neutralizzarlo. Basterebbero pochi aforismi del filosofo per mandare in frantumi la fragile vetrata del conformismo contemporaneo. Ma oltre alla critica, Romualdi indica la possibilità di una scelta. La storia scaturisce dalla libertà storica dell’uomo e in ogni momento si decide tra possibilità opposte. L’uomo è perfino libero di scegliere contro la propria libertà, di abolire la propria storicità, di porre fine alla storia. Questa è la scelta nichilista, cosciente o inconscia, del campo egualitarista: un rifiuto della storia in nome della stasi e della dissoluzione. L’altra scelta, invece, è quella della propria storicità umana: è, come dice Heidegger, la decisione per una nuova “più originaria origine”, che coincide con una nuova origine della storia stessa. Scegliere questa via significa riallacciarsi ai mitici antenati che vollero la storia, e insieme accettare di diventare gli antenati di una nuova umanità, rigenerata.
Nietzsche dorme sognando
Tre destini nicciani, dunque, tre registri complementari che restituiscono la profondità di un pensiero impossibile da imbrigliare. Lovecraft ci ricorda il limite ultimo, l’indifferenza cosmica che incombe su ogni costruzione umana, ma che per questo splende di una luce più intensa; Mussolini ci mostra la forza di tradurre la filosofia in azione, di incarnare nella storia la volontà di potenza; Romualdi ci indica la via metastorica, la scelta tra nichilismo e nuova origine, il richiamo a una differenziazione spirituale che sola può aprire il futuro. Tutti e tre, a loro modo, hanno colto la vertigine cosmica di Nietzsche: il senso dell’abisso, ma anche la possibilità di guardarlo senza fuggire. Ed è forse qui che si decide il nostro presente: non nel rifugiarsi nelle illusioni del progresso, né nell’inerzia dell’egualitarismo, ma nel saper abitare quella vertigine. Perché da essa può nascere, ancora, la forza di creare valori nuovi, di fondare civiltà nuove, di divenire gli antenati di un’umanità rigenerata. E per questo oggi Nietzsche non è morto, ma dorme sognando. Sogna nuove aristocrazie e nuovi uomini differenziati, sogna popoli capaci di vivere pericolosamente, sogna lo splendore effimero ma necessario delle opere che sfidano l’entropia. Sta a noi destarci dentro il suo sogno, e trasformarlo in storia.
Sergio Filacchioni