Roma, 14 dic – “Io sono la porta: se qualcuno è entrato attraverso di me sarà salvo”: così parlava Gesù di Nazareth (Gv 10,9). Attraversare una porta non è mai stato un gesto privo di significato. Lo sa bene la Chiesa cattolica, che attorno all’apertura di una porta ha strutturato il rituale dell’Anno Santo. Fu papa Alessandro VI Borgia, per il Giubileo del 1500, a fare aprire nelle quattro Basiliche Patriarcali degli ingressi speciali adibiti a Porta Santa. Da allora San Pietro, San Paolo, San Giovanni in Laterano e Santa Maria Maggiore celebrano la cerimonia di apertura e di chiusura dell’Anno Santo attraverso le loro Porte Sante. Per i fedeli, attraversare quel passaggio significa cercare la salvezza attraverso un percorso di grazia. “Attraversare la Porta Santa – spiega oggi il Vicariato nella sua guida al Giubileo della Misericordia – vuole esprimere il desiderio di lasciarsi abbracciare dalla misericordia di Dio e diventare, a nostra volta, più misericordiosi verso i fratelli”. Ogni passaggio è una trasformazione, anche se il cristianesimo legge questa dinamica alla luce del suo consueto linguaggio morale. Il rito ha comunque la funzione di localizzare fortemente una religione che pure ha in sé il germe del cosmopolitismo: le Porte Sante sono quattro e tutte a Roma. Percorrere il cammino spirituale verso la misericordia significa anche percorrere un cammino concreto verso Roma, sempre e comunque caput mundi. Con Papa Francesco, tuttavia, anche questa ritualità è stata sconvolta: quest’anno, per la prima volta nella storia, un Giubileo si è aperto lontano dal Vaticano con la cerimonia presieduta dal pontefice nella capitale della Repubblica Centrafricana: non era successo nemmeno negli anni in cui la corte papale era ad Avignone. “Oggi questa è la capitale spirituale del mondo”, ha detto Bergoglio a Bangui. Il che ha un significato non necessariamente anti-cristiano, come vogliono i tradizionalisti cattolici, ma sicuramente anti-romano, nel senso dell’universalità di Roma.
Anche a Roma antica, del resto, con le porte non si scherzava. Dio delle porte (ianuae), a Roma, è Giano, che nella radice del suo nome ha già l’idea 
In Grecia, il dio delle porte è Hermes. Come ha messo in evidenza Jean-Pierre Vernant in un famoso saggio del 1963, i Greci tendevano ad associare Hestia ed Hermes. Hestia, l’equivalente greco della romana Vesta, è la Dea del focolare, la fissità fatta divinità, colei che presiede al fuoco sacro che, immobile e perenne, determina la stabilità della casa e della comunità. Hermes, al contrario, è il dio della mobilità, della comunicazione, del commercio, del cambiamento di stato. Scrive Vernant: “Nella casa, il suo posto è alla porta, a protezione della soglia, posto contro i ladri poiché è egli stesso il Ladro, colui per il quale non esistono né serrature, né gabbie, né frontiere”. La pretesa di concepire la comunicazione e la mobilità assolute è tutta moderna: per gli antichi, è solo in presenza di uno stabile fuoco sacro che si può comunicare, è solo se si è centrati in se stessi che si può incontrare l’Altro, è solo se si ha Hestia nel cuore che si può parlare la lingua di Hermes. Per aprire la porta a ciò che è fuori, bisogna prima essere saldi dentro.
Adriano Scianca

2 comments
Papa Wojtyla nonostante malato si inginocchiò….
Visto l anno santo nessun regista porta a Natale un film su Gesù….ma un film su Bergoglio ….strano visto un film su Wojtyla uscì nel 2005 ( diventa Papa nel 1978)
Magari aspettiamo per Natale il seguito del pianeta delle scimmie oppure la tana dei leoni 2
National Geografic 2.0 al posto del concilio Vaticano III ?
Un bell esorcismo in latino ?
No grazie sono mondialista’ ….
S. Francesco d Assisi ed Antonio da Padova ….altro che’
Chiamatemi Luca e leggiamo i vangeli invece di parlare di Caino ed Abele senza spiegare il senso …..ma non tutti i professori sono preparati …..forse li hanno scelti dall alto ?
Io non credo , ma credo che alcuni uomini della chiesa stanno allontanando i veri uomini di chiesa ..??