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La soglia e il fuoco. A proposito delle porte (sante e non)

by Adriano Scianca
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Pope Francis opens the Holy Door of Saint Peter's Basilica, formally starting the Jubilee of Mercy, at the Vatican City, 08 December 2015. ANSA/MAURIZIO BRAMBATTI

Roma, 14 dic – “Io sono la porta: se qualcuno è entrato attraverso di me sarà salvo”: così parlava Gesù di Nazareth (Gv 10,9). Attraversare una porta non è mai stato un gesto privo di significato. Lo sa bene la Chiesa cattolica, che attorno all’apertura di una porta ha strutturato il rituale dell’Anno Santo. Fu papa Alessandro VI Borgia, per il Giubileo del 1500, a fare aprire nelle quattro Basiliche Patriarcali degli ingressi speciali adibiti a Porta Santa. Da allora San Pietro, San Paolo, San Giovanni in Laterano e Santa Maria Maggiore celebrano la cerimonia di apertura e di chiusura dell’Anno Santo attraverso le loro Porte Sante. Per i fedeli, attraversare quel passaggio significa cercare la salvezza attraverso un percorso di grazia. “Attraversare la Porta Santa – spiega oggi il Vicariato nella sua guida al Giubileo della Misericordia – vuole esprimere il desiderio di lasciarsi abbracciare dalla misericordia di Dio e diventare, a nostra volta, più misericordiosi verso i fratelli”. Ogni passaggio è una trasformazione, anche se il cristianesimo legge questa dinamica alla luce del suo consueto linguaggio morale. Il rito ha comunque la funzione di localizzare fortemente una religione che pure ha in sé il germe del cosmopolitismo: le Porte Sante sono quattro e tutte a Roma. Percorrere il cammino spirituale verso la misericordia significa anche percorrere un cammino concreto verso Roma, sempre e comunque caput mundi. Con Papa Francesco, tuttavia, anche questa ritualità è stata sconvolta: quest’anno, per la prima volta nella storia, un Giubileo si è aperto lontano dal Vaticano con la cerimonia presieduta dal pontefice nella capitale della Repubblica Centrafricana: non era successo nemmeno negli anni in cui la corte papale era ad Avignone. “Oggi questa è la capitale spirituale del mondo”, ha detto Bergoglio a Bangui. Il che ha un significato non necessariamente anti-cristiano, come vogliono i tradizionalisti cattolici, ma sicuramente anti-romano, nel senso dell’universalità di Roma.

Anche a Roma antica, del resto, con le porte non si scherzava. Dio delle porte (ianuae), a Roma, è Giano, che nella radice del suo nome ha già l’idea giano-bifrontedel “passare”. Giano è una divinità esclusivamente romano-italica, la più antica tra gli Dei nazionali, gli Di indigetes, invocata spesso insieme a Iuppiter. La sua nota raffigurazione bicefala ne fa il Dio preposto a vedere allo stesso tempo il passato e il futuro, il prima e il dopo. Proprio per questo, Giano è anche Dio delle iniziazioni e, in generale, dei passaggi di stato spirituale. Giano è anche una figura eminentemente solstiziale, posta cioè a presidio di quei due fenomeni cosmici che erano detti “la porta degli uomini” (solstizio d’estate) e “porta degli Dei” (solstizio d’inverno, che è ormai peraltro alle porte). Anche nel rito di fondazione le porte hanno una loro importanza. Plutarco, nella sua Vita di Romolo, ci spiega che mentre traccia il solco, il fondatore di Roma è assistito da alcuni aiutanti, che tra le altre cose hanno un compito proprio relativo alle porte: “Dove hanno intenzione di costruire una porta, asportano il vomere, sollevano l’aratro e lasciano uno spazio; per questo motivo credono che tutto il muro sia sacro tranne le porte; se infatti considerando sacre anche le porte non sarebbe stato possibile senza timore religioso far entrare alcune cose e farne uscire altre necessarie e tuttavia impure”. Lo spazio consacrato non è chiuso in se stesso ma prevede già da subito la possibilità della comunicazione con ciò che è fuori, senza la quale esso sarebbe sì sacro, ma non potrebbe essere umano, nel senso che non sarebbe letteralmente abitabile. Non è affatto vero, quindi, che chi considera sacri i confini finisce per ripiegarsi su stesso senza riuscire più a dialogare con l’altro, ce lo dimostra la città che sull’inviolabilità del confine si è fondata. È del resto nota l’assonanza, fonetica e concettuale, tra limen (soglia, passaggio) e limes (confine). La porta non è un puro spazio neutro, dove chiunque può andare e venire. Il confine è una linea che non si può oltrepassare. La porta è una linea che si può oltrepassare, ma il cui superamento comporta comunque delle conseguenze. Prendendo un’espressione dalla biologia, diciamo che il confine è una membrana impermeabile, la porta è una membrana semipermeabile (all’interno dell’Urbe non poteva entrare l’esercito in armi, per esempio). Ce lo dimostra anche la cronaca nera, ultimo il caso di Garlasco di cui si parla in questi giorni: la porta si apre solo a chi si conosce. Non esiste mai una porta indiscriminatamente aperta, questo è un sogno dei soli immigrazionisti. E comunque la può davvero aprire solo chi è se stesso, chi ha chiara consapevolezza della differenza fra dentro e fuori.

In Grecia, il dio delle porte è Hermes. Come ha messo in evidenza Jean-Pierre Vernant in un famoso saggio del 1963, i Greci tendevano ad associare Hestia ed Hermes. Hestia, l’equivalente greco della romana Vesta, è la Dea del focolare, la fissità fatta divinità, colei che presiede al fuoco sacro che, immobile e perenne, determina la stabilità della casa e della comunità. Hermes, al contrario, è il dio della mobilità, della comunicazione, del commercio, del cambiamento di stato. Scrive Vernant: “Nella casa, il suo posto è alla porta, a protezione della soglia, posto contro i ladri poiché è egli stesso il Ladro, colui per il quale non esistono né serrature, né gabbie, né frontiere”. La pretesa di concepire la comunicazione e la mobilità assolute è tutta moderna: per gli antichi, è solo in presenza di uno stabile fuoco sacro che si può comunicare, è solo se si è centrati in se stessi che si può incontrare l’Altro, è solo se si ha Hestia nel cuore che si può parlare la lingua di Hermes. Per aprire la porta a ciò che è fuori, bisogna prima essere saldi dentro.

Adriano Scianca

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2 comments

Massimo 14 Dicembre 2015 - 1:35

Papa Wojtyla nonostante malato si inginocchiò….

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Massimo 14 Dicembre 2015 - 1:48

Visto l anno santo nessun regista porta a Natale un film su Gesù….ma un film su Bergoglio ….strano visto un film su Wojtyla uscì nel 2005 ( diventa Papa nel 1978)
Magari aspettiamo per Natale il seguito del pianeta delle scimmie oppure la tana dei leoni 2
National Geografic 2.0 al posto del concilio Vaticano III ?
Un bell esorcismo in latino ?
No grazie sono mondialista’ ….
S. Francesco d Assisi ed Antonio da Padova ….altro che’
Chiamatemi Luca e leggiamo i vangeli invece di parlare di Caino ed Abele senza spiegare il senso …..ma non tutti i professori sono preparati …..forse li hanno scelti dall alto ?
Io non credo , ma credo che alcuni uomini della chiesa stanno allontanando i veri uomini di chiesa ..??

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