Roma, 7 lug – Dopo il fallimento del referendum, in caso di vittoria del sì, avrebbe esposto ulteriormente l’Italia ai rischi dell’immigrazione incontrollata, in molti avevamo tirato un sospiro di sollievo. Ma, a quanto pare, è stato del tutto inutile. Già… perché, a quanto pare, anche un NO secco dei cittadini non basta nella democrazia liberale, diventata ormai un vero e proprio feticcio per tutto l’arco costituzionale, anche se in modi diversi.
Il No degli italiani al referendum non è bastato
Il “fallimento nel fallimento” del quinto quesito sulla cittadinanza – dal momento che, anche tra i pochi che hanno votato, più del 35% hanno votato “no” – nel referendum dell’8 e 9 giugno è stato cancellato nell’arco di un mese: prima il decreto flussi, che regolarizza di fatto 500.000 immigrati, poi il Ministro degli esteri Antonio Tajani che torna alla carica sullo Ius Scholae. Quindi, le contingenze del nostro tempo ci costringono ad una riflessione spesso ignorata o ridotta semplicisticamente a categorie ingenue e poco strutturate. Tale è il problema della cittadinanza. O meglio, cosa rende tale un cittadino e quale tipo di Stato sarebbe auspicabile per forgiare questo idealtipo di cittadino. Appare ormai evidente come lo stato liberal-democratico, incapace di assolvere le funzioni di uno Stato degno di questo nome, sia quanto di più lontano esista dall’autentica concezione di cittadino e di cittadinanza. Lo stato liberal-democratico riduce la questione della cittadinanza acquisita ad un mero calcolo di anni di residenza, di test ed esami, come se si trattasse di un colloquio di assunzione (e il paragone non è casuale, dal momento che l’unico motivo per cui qualcuno può essere razionalmente a favore dell’immigrazione è la volontà di pagare sempre meno i lavoratori).
La concezione liberale di cittadinanza e i referendum
La concezione liberale della cittadinanza è inoltre incentrata sulla retorica dei diritti individuali, riducendo dunque l’essere cittadini ad un elenco di diritti individuali che lo stato liberale dovrebbe tutelare. Ma la vera cittadinanza non è un pezzo di carta da mettere ad analisi di referendum o petizioni, ma soprattutto non è un semplice elenco di diritti individuali. Il problema sorge laddove la cittadinanza è sbandierata come una cosa acquisibile con un mero calcolo di “qualifiche” e che comporta una serie di diritti. Diciamo pure che questa concezione di cittadinanza è modellata in tutto e per tutto sullo stato liberale. Ne consegue che questo stato non potrà mai attuare pienamente un principio di cittadinanza coerente. Il cittadino non potrà mai essere libero se non è inquadrato e pienamente inserito nello Stato, cosa impossibile nel tanto decantato stato liberale, che si fonda esplicitamente sull’autonomia individuale totale. Per rispondere a questa sfida ci viene in soccorso il più grande filosofo italiano dello scorso secolo: Giovanni Gentile.
La visione di Giovanni Gentile
Il filosofo attualista e Ministro dell’Istruzione durante il primo governo fascista, ragionò a lungo sulla nozione di Stato e di Cittadino, cercando di delineare quale rapporto dovesse intercorrere tra i due nel nuovo Stato Fascista. Lo Stato deve sì forgiare cittadini e al contempo la Libertà del cittadino è vera e pienamente compresa solo nella misura in cui essa è libertà collettiva, non individuale. La Libertà del cittadino si fonde e si identifica pienamente con quella dello Stato. Il problema principale della dottrina dello Stato etico fu allora di far corrispondere la libera volontà dell’individuo con la volontà collettiva dell’organismo politico di cui egli fa parte. Per Giovanni Gentile ciò è possibile e necessario, purché non si confonda la libertà individuale con l’autentica libertà collettiva. Riattualizzando così la concezione greca della cittadinanza, secondo la quale non è nemmeno pensabile una contrapposizione tra individuo e comunità, Gentile afferma che lo spirito umano è un’impresa collettiva. Non esiste un uomo che possa dirsi tale se vive separato dagli altri uomini, dal momento che l’individuo anche parlando tra sé e sé pronuncia parole che sono comprensibili – ed hanno un senso – solo in quanto portano con sé un significato compreso da altri, dai membri di una stessa comunità spirituale. Tale comunità però non è l’umanità tutta in senso astratto: è una comunità “storicamente determinata di spiriti affini”. Con ciò si può intendere dunque la famiglia o lo Stato (che, in accordo con la filosofia hegeliana, è concepito come una riproposizione “allargata” del nucleo etico della famiglia). E questa comunità, ovvero lo Stato, non ha origine contrattualistica e non ha la funzione di mero tutore di ipotetici diritti individuali – come vorrebbero i liberali e i venditori di cittadinanza – ma è uno Stato concepito come “sostanza etica consapevole di sé”.
Cittadino è colui che ha una connessione con la comunità
Allo stato contrattualista fondato sui diritti individuali, Gentile contrappone lo Stato fondato sul dovere di solidarietà del singolo cittadino verso gli altri membri della propria comunità. Una concezione ripresa ampiamente dal Profeta del Risorgimento Giuseppe Mazzini, secondo cui tale dovere può – e in alcuni casi deve – richiedere il sacrificio del singolo per il bene del tutto, ovvero la comunità. E in ciò risiede la vera libertà del cittadino: la piena coincidenza tra la propria volontà e quella dello Stato, un fenomeno che – secondo Mazzini – avviene o spontaneamente o tramite l’azione di educazione del singolo, ovvero lo Stato pedagogo. Quindi, se la libertà è la scelta per il dovere verso gli altri a discapito dell’interesse individuale e se tale libertà si attua solo nella dimensione politica, ne consegue che fuori dello Stato nessuno è libero. Ora risulta più chiara l’arcinota definizione di Gentile del rapporto tra il cittadino e lo Stato: “Per il Fascista tutto è nello Stato. E nulla di umano o spirituale esiste – e tantomeno ha valore – fuori dello Stato. In tal senso, il Fascismo è totalitario. E lo Stato Fascista, sintesi ed unità d’ogni valore, interpreta, sviluppa e potenzia tutta la vita del Popolo”. La cittadinanza così concepita non può essere lasciata in balia né di referendum come quelli che hanno avuto luogo in Italia gli scorsi 8 e 9 giugno, né dello Ius Scholae di Tajani. E soprattutto non può in alcun modo essere trattata come un accumulo di anni di residenza o di semplici test di lingua e cultura. Cittadino è colui che ha una intima e profonda connessione con la propria comunità. Altrimenti egli non è nulla e non ha valore alcuno.
Enrico Colonna