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Tajani rilancia lo ius scholae: cittadinanza e flussi, il mix letale

by Sergio Filacchioni
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ius scholae

Roma, 3 lug – A volte le coincidenze sembrano troppo perfette per essere casuali. A poche ore dall’approvazione del nuovo decreto flussi, che spalanca le porte a 500.000 ingressi regolari in tre anni, arriva puntuale anche il rilancio dello ius scholae. A farlo è Antonio Tajani, vicepremier e leader di Forza Italia, che annuncia una proposta di legge ribattezzata Ius Italiae, in cui si prevede la concessione della cittadinanza ai minori stranieri dopo dieci anni di permanenza scolastica in Italia.

Lo ius scholae torna alla carica

La narrazione ufficiale è sempre la stessa: inclusione, integrazione, diritti civili. Ma al di là della retorica buonista, ciò che si delinea è una strategia perfettamente coerente e razionalmente orientata. Da un lato si pianifica l’ingresso di nuovi migranti per esigenze “produttive”, dall’altro si anticipa il riconoscimento della cittadinanza ai loro figli. Il risultato? Una popolazione sostitutiva pronta a entrare nel corpo elettorale italiano. Non è una novità. Lo ius scholae è da anni al centro del dibattito politico, presentato come un atto di civiltà verso giovani “italiani di fatto”. Ma la realtà, come spesso denunciato su queste pagine, è ben diversa: si tratta di una cittadinanza elettorale. Non basta infatti frequentare la scuola italiana per dieci anni per diventare automaticamente italiani. In un sistema scolastico in cui l’identità nazionale è sistematicamente annacquata, dove il senso storico, il radicamento culturale e il valore della sovranità sono concetti ormai marginali, la cittadinanza concessa a giovani stranieri non rappresenta un’integrazione, ma un’operazione aritmetica. A chi giova tutto questo? Ai partiti che faticano a intercettare il voto giovanile italiano, e che vedono nell’ampliamento del corpo elettorale una possibilità concreta di sopravvivenza politica.

Ius scholae e decreto flussi, il mix letale

In parallelo, il decreto flussi rappresenta l’altra faccia della medaglia. Con la scusa della mancanza di manodopera e della necessità di riempire posti vacanti, si approva un piano triennale che autorizza un ingresso di 500.000 lavoratori stranieri. Una cifra colossale, che viene giustificata in modo tecnico, ma che ha ricadute politiche, sociali e identitarie profondissime. Non si tratta più di rispondere a un’emergenza o di gestire i flussi: si tratta di programmare l’immigrazione su larga scala, in modo permanente, come strumento funzionale a un nuovo modello di società. Un modello in cui i giovani italiani, sempre più esclusi, vengono sostituiti da una forza lavoro importata e da un elettorato di riserva in costruzione. Cittadinanza veloce e ingressi programmati. Sono due processi apparentemente separati, ma che concorrono a un’unica direzione: la sostituzione etnica. Mentre i tassi di natalità italiana crollano e le aree interne si svuotano, lo Stato preferisce affidarsi alla soluzione più comoda: importare masse, regolarizzarle, e renderle parte dell’elettorato futuro. Non è complottismo, ma pianificazione. Tajani lo dice chiaramente: “Chi vuole davvero lo ius scholae, voti il nostro testo”. E intanto, il decreto flussi procede indisturbato, con il plauso della grande industria e l’inerzia complice della politica.

Invasione? No, sostituzione legalizzata

A pagarne il prezzo sarà la coesione sociale, la sicurezza, l’identità culturale di un Paese che ha già smarrito da tempo la consapevolezza di sé. La cittadinanza diventa un premio burocratico, l’immigrazione una voce di bilancio. In nome del mercato e del consenso, tutto viene sacrificato: perfino l’idea stessa di Nazione. E così, tra decreti tecnici e disegni di legge “umanitari”, si costruisce un’Italia nuova. Non più patria, ma terminale amministrativo del globalismo demografico. E chi si oppone, chi solleva dubbi, viene ridotto al silenzio con le solite accuse di razzismo e arretratezza. Ma la verità è che dietro le cifre, i numeri, i testi legislativi, si sta scrivendo un’altra pagina di storia. Una pagina in cui l’Italia rischia di sparire non per un’invasione, ma per sostituzione legalizzata.

Sergio Filacchioni

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