Roma, 3 ott – Una delegazione militare del nuovo governo siriano è stata ricevuta a Mosca dal vice ministro della Difesa russo Yunus-bek Yevkurov. A guidarla, il generale Ali al-Naasan, braccio destro del presidente ad interim Abū Muḥammad al-Jolani, l’ex emiro di al-Nusra ed ex uomo di al-Qaida in Siria, oggi presentato al mondo come capo di Stato legittimo. L’incontro segna l’avvio di un coordinamento militare tra la Russia e le nuove autorità di Damasco, alla vigilia della visita ufficiale di al-Jolani al Cremlino.
Da Assad ad Al Jolani: il Cremlino si ricicla in Siria
La cornice è surreale: dieci anni dopo l’intervento russo per salvare Assad, la Russia tratta con il suo successore – un ex ricercato internazionale che oggi stringe mani da New York a Tel Aviv e discute di “stabilità”. Intanto, a Mosca, circolano notizie di un tentato avvelenamento ai danni dell’ex presidente Bashar al-Assad, deposto lo scorso dicembre e rifugiato in Russia insieme alla famiglia. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, Assad è stato ricoverato in condizioni critiche e sarebbe ora stabile, sotto stretta sorveglianza. Solo il fratello Maher avrebbe potuto fargli visita, in un clima di massima segretezza. Il sospetto è che l’operazione mirasse a imbarazzare il Cremlino, facendo apparire Mosca complice della sua eliminazione. Le nuove autorità siriane chiedono da mesi l’estradizione di Assad, che Putin continua formalmente a proteggere. La vicenda del presunto avvelenamento aggiunge un ulteriore strato di ambiguità: la Russia da un lato apre i canali con il nuovo potere siriano, dall’altro resta custode di un rifugiato scomodo.
Un paese “liberato” per finta
Il paradosso è evidente: mentre l’ex emiro jihadista viene consacrato come interlocutore internazionale, l’uomo che Mosca aveva salvato è ridotto a sopravvivere nell’ombra, forse avvelenato, forse solo strumentalizzato come pedina. Un doppio binario che racconta la vera Siria del 2025: un Paese “liberato” dal baathismo per essere consegnato, ripulito e legittimato, alle stesse reti che per anni hanno insanguinato il Levante.
Vincenzo Monti