Roma, 12 giu – Il disegno di legge “Disposizioni in materia di economia dello spazio” (A.C. 2026-A.S.1415), approvato in via definitiva dal Senato della Repubblica l’11 giugno 2025, istituisce formalmente un quadro normativo nazionale per le attività spaziali civili, ma si configura come un corpus normativo incompleto e privo di un’architettura funzionale coerente con i requisiti minimi di un moderno sistema regolatorio del settore aerospaziale.
Spazio, approvato il disegno di legge sulle attività civili
Il testo difetta, innanzitutto, di una tassonomia tecnico-giuridica idonea a distinguere tra le diverse tipologie di operazioni spaziali (suborbitali, orbitali, di lancio, rientro, operazioni di terra), compromettendo la definizione del perimetro soggettivo e oggettivo di applicazione della disciplina. Tale omissione impedisce l’elaborazione di un regime autorizzativo differenziato e parametrato sulla natura e sul rischio operativo dell’attività svolta, generando incertezza applicativa e ambiguità interpretative. Il procedimento autorizzativo, attribuito in via centrale alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, si articola con il supporto dell’ASI, del MIMIT e del COMINT. Tuttavia, manca una regolamentazione degli standard tecnico-operativi, delle modalità di istruttoria e dei livelli di responsabilità delle autorità coinvolte. L’assenza di un framework procedimentale codificato, di criteri tecnici predeterminati e di tempistiche vincolanti rende il sistema opaco e inefficiente sul piano amministrativo.
Sul fronte della gestione del rischio, il requisito assicurativo introdotto risulta formalisticamente definito, ma tecnicamente inadeguato. La previsione di massimali minimi di copertura tra i 20 e i 100 milioni di euro è priva di correlazione con parametri di valutazione oggettiva del rischio (tipo di vettore, carico utile, profilo di missione, orbita), mancando una metodologia attuariale o una scala di ponderazione. Ne risulta un sistema non scalabile e potenzialmente esposto a sottoassicurazione in scenari ad alta complessità operativa. Lo stesso Fondo per la space economy, dotato inizialmente di 35 milioni di euro, non è accompagnato da alcuna disciplina di governance tecnica, da criteri di allocazione fondati su metriche scientifico-industriali, né da priorità strategiche nazionali o settoriali. A tutto questo si aggiunga l’assenza di indicatori di performance, valutazione di impatto e meccanismi di trasparenza che riduce il Fondo a uno strumento di spesa pubblica non strutturata, incapace di generare effetto leva sul tessuto industriale o di stimolare l’autonomia tecnologica nazionale.
Pure la riserva di capacità trasmissiva satellitare nazionale, prevista ex art. 26, è giuridicamente formulata in termini generici, senza vincoli di territorialità delle infrastrutture, criteri di sicurezza cibernetica o obblighi di garanzia pubblica sul controllo del servizio. La sua attuazione risulta demandata alla discrezionalità dell’Esecutivo, in assenza di una policy industriale connessa a capacità sovrane o a programmi di sviluppo sistemico. La norma espone, pertanto, il sistema nazionale a rischi di dipendenza strategica da operatori esteri extraeuropei.
Una legge senza pianificazione strategica
Da segnalare, inoltre, come l’assenza di qualsiasi disposizione sul monitoraggio e mitigazione dei detriti spaziali rappresenti una grave lacuna tecnico-regolatoria. Il disegno di legge non introduce alcuna previsione su responsabilità ambientali, tracciamento orbitale, piani di deorbitazione o compliance alle direttive internazionali in materia di sostenibilità delle attività spaziali (Linee guida UN COPUOS, ISO 24113:2021), collocando l’Italia al di sotto degli standard normativi richiesti in ambito ESA e OCSE.
La posizione dell’Agenzia Spaziale Italiana resta marginale: non è prevista alcuna estensione delle sue competenze regolatorie, né poteri vincolanti in materia di valutazione tecnico-scientifica. Allo stesso modo, non viene istituito alcun organo tecnico interministeriale permanente, né un comitato scientifico o di indirizzo strategico, a discapito della necessaria integrazione tra competenze scientifiche, industriali e amministrative. Il Registro nazionale degli oggetti spaziali, pur menzionato, è disciplinato in modo minimale, senza specificazione delle modalità di tenuta, dei flussi di interoperabilità con i registri internazionali (UNOOSA, ESA), né di obblighi informativi a carico degli operatori.
La disciplina dei poteri speciali in materia di golden power è inserita come clausola di salvaguardia, ma senza delimitazioni tecniche o soglie di rilevanza oggettiva, rendendola potenzialmente inefficace in contesto operativo. In sintesi, il disegno di legge si configura come un framework normativo a bassa densità tecnica, caratterizzato da una visione amministrativa e formalistica, privo di strumenti di pianificazione strategica, coordinamento interistituzionale e controllo tecnico. L’assenza di standard operativi, di una visione industriale coerente e di garanzie di autonomia tecnologica compromette la capacità della normativa di sostenere lo sviluppo strutturato del settore spaziale nazionale.
Daniele Trabucco