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Adinolfi: “Gelli? Quasi simpatico, se chi lo critica è peggio di lui”

by La Redazione
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gelliRoma, 17 dic – È morto Licio Gelli, il Venerabile della Loggia P2. Con quella Loggia ho qualche conto personale in sospeso visto che alcuni suoi esponenti di spicco che a quei tempi dirigevano entrambi i nostri servizi segreti provarono per ben tre volte, dicasi tre, a costruirmi addosso un depistaggio sulla strage di Bologna. Andò a finire bene perché, siccome la P2 era caduta in disgrazia, ci furono confessioni dettagliate e i dirigenti piduisti dei servizi vennero condannati per quelle accuse.

Devo comunque a loro e a giudici comunisti – che pure con loro rivaleggiavano – un paio di mandati di cattura internazionale, vent’anni di latitanza, una condanna all’ergastolo sfiorata d’un soffio e l’interessamento che poi ho coltivato nel ricostruire la verità sullo stragismo, sul terrore, sul potere e sulla strategia della tensione.

Tuttavia, poiché non son uno sciocco né un meschino, non mi sono mai fatto abbagliare e ho capito cose che in molti ancora fanno fatica a comprendere: ovvero che i depistaggi sulla strage di Bologna erano un’azione sporchissima, sì, ma difensiva, perché atta a proteggere delle posizioni raggiunte e messe in pericolo da quell’offensiva, ma che la strage non era farina del loro sacco. Il rancore non deve impedire di ragionare e di ricostruire. Non ho mai amato i metodi dei nostri Pm che partono da una convinzione e poi vogliono provarla a tutti i costi. Bisogna sempre fare diversamente.

Non come dicono

La P2, dicevo, non mi sembra colpevole della strage di Bologna, discorso diverso magari va fatto per il Caso Moro e tutto quanto lo precedette, ivi compresa Acca Larentia. Il che basta e avanza – ma c’è dell’altro – per provare disgusto. Va però aggiunto che non è credibile quasi nulla della ricostruzione fatta a posteriori sulla P2, presentata come una consorteria autonoma dalla Massoneria ufficiale e come centro di potere anticomunista.

Tutto questo le venne cucito addosso con una propaganda politicamente corretta dopo che la Loggia fu sgominata. E lo fu, in effetti, perché aveva provato come si suol dire a far la pipì fuori dal vasetto, ovvero a garantirsi i privilegi acquisiti mettendosi d’accordo con un nuovo padrone. A procurare grattacapi a Gelli e fratelli fu il cambio alla Casa Bianca con il passaggio da un’amministrazione democratica – notoriamente e costantemente cancerogena, consociativa ed invasiva in Europa – a una repubblicana, che non ha la tendenza a proteggere gli stessi valvassini. Per evitare il ridimensionamento, i fratelli di casa nostra provarono un mercato azzardato con la cerchia di Reagan vendendo loro i malaffari del fratello dell’uscente Presidente Carter in Libia.

Mal gliene incolse perché persero in una botta sola ambo le sponde e innervosirono per la propria iniziativa i loro superiori massonici. Il resto poi è conseguenza condita da propaganda d’accatto con una demonizzazione personalizzata di Gelli talmente ampia e grottesca da renderlo quasi simpatico.

Chi era?

In realtà chi era Gelli? Se ci atteniamo alla Commissione Anselmi era stato dapprima, in RSI, un agente doppio (per i tedeschi e per i comunisti) e nel dopoguerra ancora un agente doppio (per i sovietici e per i britannici). Vero? Non vero? Male interpretato?

Gelli, aretino, mosse i suoi primi passi nella zona di Markevitch, il “direttore d’orchestra” delle Brigate Rosse che durante la guerra, con la benedizione del Gran Priorato di Sion, fungeva da diplomatico non ufficiale ma fornito di piene credenziali per conto di Francia e Inghilterra, con lui il futuro cognato, incaricato dagli americani per la guerra psicologica. Poi fu tra i promotori dello Stato d’Israele. La Toscana crocevia di terrorismo, stragismo, misticismo di loggia, di musica, di arte e di atrocità (si pensi ai delitti con taglio esoterico attribuiti a un presunto “Mostro di Firenze”) è stata in qualche modo la culla di un universalismo che la legava con la Francia e con le sue propaggini in giro per il mondo, e ciò in una tradizione medicea. E fu all’avanguardia dell’indicibilmente nuovo.

Gelli, dunque, al di là della leggenda, fu probabilmente un uomo dell’era nuova, o, se preferite, del Mondialismo. Un mondialista? Non so se sia corretto definirlo così perché all’interno di questo Mondialismo ci sono state e ci sono personalità controverse con tendenze differenti. Leggevo ad esempio che ultimamente il Venerabile citava Mussolini. Stravagante? Forse, ma Mitterrand non ha mai rinnegato Vichy. Queste sono scelte emotive e sentimentali che i marxisti definirebbero “soggettiviste” e che lasciano il tempo che trovano.

Post-democratici

Oggettivamente parliamo di uomini che hanno esercitato per primi il potere in post-democrazia. Un potere non eccelso e sicuramente censurabile per un semplice motivo: il potere ha una sua sacralità e quello dell’età oscura non può che essere sporco e insozzare. L’alternativa, non a caso definita “eroica”, è solare, è quiondi alla luce del sole, non può esser fatta di giochi dietro le quinte.

L’importante, però, è che chi lo afferma e magari sentenzia nei confronti di Gelli, di Andreotti o di Mitterrand, sia davvero di un’altra attitudine esistenziale e forte di un altro comportamento nella vita. Troppo spesso accade che si tratti di mediocri, invidiosi, che ogni giorno fanno soldi su immigrati, zingari e tangenti o, se non li fanno, che anelano a farli. Spesso sono lacché, raccomandati e schifezze di questo genere che fanno i moralisti solo per invidia e rancore. Attenzione quindi a non confondersi con il coro perché la canaglia urlante spesso è peggio dell’uomo da censurare. In ogni caso nessuno può venire a raccontarci che oggi la politica e il potere stiano moralmente meglio di come lo erano a suo tempo. Ergo: in molti tacciano che è meglio!

Gabriele Adinolfi

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