La versione dei fatti raccontata dal protagonista nel corso del tempo a molte televisioni e giornali, racconta di una burrasca che danneggiò il motore dell’imbarcazione e i sistemi di comunicazione, oltre a liberare in mare tutte le scorte. Il più giovane dei due si sarebbe in quel momento fatto prendere dal panico e proprio lo stesso Alvarenga gli avrebbe impedito di cadere in acqua. I due sarebbero dunque sopravvissuti grazie a pesci, uccelli e acqua piovana e la propria urina. Tuttavia il giovane, restio a cibarsi di carne cruda, si sarebbe gravemente ammalato e sarebbe morto di stenti poco dopo, per poi essere buttato in mare dal compagno di viaggio.
Le accuse di cannibalismo si inseriscono in un contesto nel quale già l’ex avvocato di Alvarenga aveva sporto denuncia contro l’assistito, appena dopo il cambio di studio legale di quest’ultimo per la cura di un libro-documentario del lungo naufragio. L’impressione, al di là di ogni ricostruzione, è che intorno alla stupefacente avventura ognuno miri a raccoglierne un piccolo tesoro. Al clamore mediatico tuttavia non è corrisposto un boom di vendite del libro, fermo a circa 1500 copie negli Usa. Chissà che la torbida luce del cannibalismo non faccia miracoli nel business.
Alessandro Catalano