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“Impedire ogni riabilitazione organica”: per Raimo Giovanni Gentile è ancora un tabù

by Michele Iozzino
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Roma, 29 mag – In un articolo pubblicato per Il Post Christian Raimo critica le celebrazioni in ricordo di Giovanni Gentile a 150 anni dalla sua nascita e i tentativi di “riabilitazione organica” nei confronti del fondatore dell’attualismo.

Quanto fu fascista Giovanni Gentile?, l’articolo di Raimo sul Post

Raimo comincia col chiedersi quanto fu effettivamente fascista Gentile. La risposta, scontata, è che Gentile fascista lo fu eccome. Anzi, lo fu più e prima di altri: “Gentile è stato un fascista della prima, della seconda, della terza e dell’ultima ora”. Si potrebbe discutere su quanto quella “prima ora” sia giusta, dal momento che il filosofo siciliano si iscrisse al Pnf solamente nel 1923, dopo aver partecipato da indipendente al primo Governo Mussolini, ma è anche vero che Gentile, con il suo interventismo, il suo patriottismo risorgimentale, la sua stessa filosofia dell’atto, in qualche modo anticipòil fascismo. Se agli occhi di Raimo questo è già di per sé sufficiente per escludere ogni recupero di Gentile, c’è anche di peggio. Gentile sarebbe indistinguibile dal fascismo e avrebbe subito una sorta di “sudditanza” verso quest’ultimo, dipendendo dal regime mussoliniano per il proprio potere culturale. Così le frizioni e le divergenze di Gentile con il fascismo, perfino il suo tentativo di richiamarsi all’unità nazionale dopo il 1943 per scongiurare una guerra civile, sarebbero nient’altro che riposizionamenti per non perdere la propria egemonia o, in altri termini, tentativi di rimanere attaccato alla poltrona. Insomma, Gentile sarebbe stato una sorta di filosofo cortigiano, di intellettuale di regime, di arrivista politico.

Può far sorridere che a criticare la statura culturale di Gentile sia uno come Raimo. Per quanto poi, paradossalmente, quest’ultimo sia costretto a riconoscerne ancora una volta l’influenza e l’importanza citando, come esempi positivi da opporre al filosofo attualista, quegli “allievi, colleghi e amici” allontanatosi da lui per motivi politici. Ennesima prova della capacità di Gentile di fare “scuola”. Nel risentimento di Raimo verso Gentile c’è forse un altro aspetto, quello dello slittamento di senso tra fascismo, potere e autorità. Come spesso accade per il moderno antifascismo, il fascismo viene spogliato del suo contenuto reale e diventa una categoria assoluta e sopratutto pre-politica. Così Gentile diventa non l’intellettuale di un regime, ma di tutti i regimi. E il fascismo con lui diventa l’immagine archetipale di qualsiasi potere costituito, sorta di padre severo e opprimente a cui bisogna ribellarsi compiendo un rituale parricidio. Uno slittamento al limite del patologico, che curiosamente si somma, in maniera peraltro piuttosto contraddittoria, a quello del fascismo come ricettacolo di ogni violenza, di ogni barbarie, di ogni irrazionalismo, specchio oscuro dell’animo umano. Ma, in fondo, tutto questo ci racconta più degli accusatori che degli accusati.

Altro che semplice intellettuale di regime: “Questa filosofia è nelle mischia”

Il ricordo della figura di Gentile si inserisce, per Raimo, in un tentativo contro-egemonico da parte della destra. Gli elementi problematici sarebbero, sempre secondo Raimo, la volontà di leggere Gentile nell’ottica di una pacificazione nazionale e la stessa dimensione nazionalistica nel celebrare Gentile in quanto grande filosofo italiano. Elementi che condurrebbero alla svalutazione dell’antifascismo e la rivalutazione del fascismo, puntando su quella sorta di “zona grigia” tra i due: “Il senso di questo genere di operazioni è rimuovere la contrapposizione tra fascismo e antifascismo in nome di un nazionalismo pacificato che cancelli quanto più possibile il contributo dei comunisti alla Costituzione e alla storia repubblicana e che di fatto rilegittimi il regime fascista emendato dalle sue responsabilità più gravi: l’alleanza col nazismo, una guerra suicida, le leggi razziali…”. Insomma, Gentile sarebbe il “modello di figura politica a cui guardare in un’ottica di conciliazione tra antifascisti e postfascisti”. Una conciliazione che, se per Raimo rappresenta un pericolo perché mette in discussione l’antifascismo come unico momento fondativo possibile, dall’altra parte potrebbe portare a una eccessiva spoliticizzazione di Gentile.

In effetti, non c’è forse chi più del filosofo siciliano ha rimarcato la continuità tra Risorgimento e fascismo, interpretando quest’ultimo come il compimento del processo unitario italiano. Una equazione tra essere fascisti ed essere italiani che è qualcosa di più di una verniciatura ideologica, ma invito alla mobilitazione politica: “Italiani tutti e perciò tutti virtualmente fascisti, perché sinceramente zelanti di un’Italia che conti nel mondo, degna del suo passato”. Una dimensione militante del pensiero gentiliano che stride ancora una volta con il ritratto che ne fa Raimo. Più che un intellettuale da salotto, un pensatore armato, più che una soffocante egemonia culturale, una filosofia dell’intervento: “Questa filosofia, con scandalo dei benpensanti, è nella mischia, persuasa schiettamente che lì sia il suo posto, retta da una fede che non crolla, nella propria forza e nel proprio destino”.

Michele Iozzino

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