
Nel secondo trimestre del 2015, spiegano dall’Istat nelle stime preliminari, “Il prodotto interno lordo è aumentato dello 0,2% rispetto al trimestre precedente e dello 0,5% nel confronto con il secondo trimestre del 2014″. Nel primo trimestre dell’anno era cresciuto dello 0.3% rispetto all’ultimo periodo del 2014 e del +0.1% con riferimento al primo trimestre sempre di quell’anno.
La spinta, già di poca sostanza, perde così ancora vigore. Soprattutto in virtù delle previsioni, che davano il periodo aprile-maggio-giugno attorno ad un +0/+0.4%, nella speranza di puntare alla parte alta della forchetta. Questione di decimali, ma di fronte a numeri così risicati anche uno zero virgola può fare la differenza fra ottimismo e pessimismo.
Scendendo più in profondità nei dati, la variazione congiunturale “è la sintesi -spiegano i tecnici dell’istituto di statistica- di una diminuzione del valore aggiunto nel comparto dell’agricoltura, di un aumento nei servizi, e di una variazione nulla nell’insieme dell’industria”. Non è quindi la manifattura a trainare la ripresa, d’altronde il calo (-1.1%) di giugno non dava speranze in tal senso, stendendo un velo d’ombra sulle prospettive future. Senza manifattura, non potranno infatti essere i servizi a compensare una crescita che si vuole strutturale. Più che di crescita, a questo punto è forse meglio parlare di stagnazione.
Uniche note positive arrivano invece dal lato della domanda, per la quale l’Istat registra “un contributo positivo della componente nazionale e un apporto negativo della componente estera netta”. Segno che, dopo innumerevoli tonfi, anche la domanda interna sta forse risalendo la china. Ma a questi ritmi serviranno anni perché torni ai livelli precedenti.
Filippo Burla
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