Lecce, 3 mag – Il cinema è divenuto industria, ancor prima che arte, e con questa realtà occorre necessariamente fare i conti, dalla produzione al botteghino. E’ questo lo spaccato della situazione attuale del cinema italiano, o quantomeno di uno dei suoi generi trainanti, la commedia (che rappresenta circa il 90% della produzione annuale), sviscerata a fondo nel corso della tavola rotonda ospitata al castello Carlo V di Lecce; uno degli eventi più attesi e seguiti fra quelli inseriti nel cartellone del 15° Festival del cinema europeo. A dibattere sull’argomento, coordinati da un brillante Marco Giusti, i protagonisti della commedia italiana: dai veterani Carlo Verdone, Neri Parenti, Enrico Vanzina, Fulvio Lucisano, Francesco Bruni, Massimo Gaudioso, alla nuova generazione rappresentata da Edoardo Leo, Sydney Sibilia, e dal duo Pio e Amedeo.
Coniugare profitto e qualità, dunque, è la vera sfida della commedia, chiamata alla ricerca di nuovi linguaggi espressivi per trascinare nelle sale un pubblico altrimenti conquistato dai blockbuster americani, poiché pigro, poco curioso e incline al richiamo della massa e della promozione pubblicitaria. Se il fine, però, unisce i protagonisti senza distinzione tra produttori, sceneggiatori, registi e attori, i mezzi per raggiungere lo scopo appaiono meno chiari e convincenti, così come le motivazioni alla base della crisi della nostra industria cinematografica. Carlo Verdone lamenta l’eccessiva diffusione dei “multisala” a scapito dei cinema di provincia o di strutture storiche costrette alla chiusura e cita, fra gli applausi della sala, il Metropolitan di Roma. Non lesina polemiche nemmeno nei confronti dell’eccessivo potere della televisione e della moltiplicazione dei canali tematici: “C’è un numero eccessivo di passaggi televisivi – lamenta – e va a finire che quando esco in sala con un nuovo film la gente mi ha visto 800 volte in tv e magari è stanca di me, anche se ho un prodotto nuovo”.
Enrico Vanzina si rifugia, invece, in un attacco politico abbastanza esplicito alla Lega, a suo dire colpevole di aver creato fratture anche culturali all’interno della nazione, al punto da aver indotto il proprio elettorato a boicottare qualsiasi produzione di matrice capitolina o, in generale, espressione di una comicità meridionale. Una polemica piuttosto pretestuosa, subito avversata da Valerio Caprara (tra i più apprezzati critici cinematografici italiani nda.), il quale ricordava a Vanzina come i maestri della commedia italiana, dal dopoguerra fino ai primi anni ’80, abbiano conquistato con la propria arte in maniera omogenea un pubblico diviso, nella vita quotidiana, da violente contrapposizioni politiche e campanilistiche. Un’analisi reale e spietata nella sua semplicità, che contiene al suo interno un monito ben preciso a non cercare fughe pretestuose nella composizione del tessuto sociale nazionale. Gli italiani sono in grado di parlare lo stesso linguaggio, anche cinematografico, da Lecce a Bolzano; il problema, più che nel pubblico, andrebbe quindi cercato nelle sceneggiature e nella ripetitività ormai insopportabile di certa (pseudo) comicità da cine-panettone.
Francesco Pezzuto