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Ttip: nel bene o nel male, basta che (non) se ne parli

by Filippo Burla
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EU chief negotiator Bercero and U.S. chief negotiator Mullaney address a joint news conference in BrusselsRoma, 3 mag – Se l’importanza di qualcosa può essere giudicata a partire dal silenzio dei media al riguardo, allora la serie di accordi Usa-Ue che vanno sotto la sigla complessiva di Ttip (Transatlantic Trade and Investment Partnership) sono una vera bomba. I negoziati sono in corso da luglio 2013 e dovrebbero concludersi entro la fine dell’anno corrente. Tuttavia, a parte qualche articolo in ordine sparso nessuno sembra interessarsene in modo particolare. A gestire i suddetti negoziati sono Karel de Gucht, commissario europeo per il commercio e Michael Froman, rappresentante per il commercio nell’executive office del presidente statunitense.

Nonostante il primo posto nella scaletta degli obiettivi enunciati ufficialmente, la riduzione delle tariffe doganali non è il nocciolo della questione, essendo già molto basse e quasi irrilevanti sui volumi complessivi degli scambi. Lo scopo reale del Ttip è quello di abbattere le “Barriere non tariffarie” al commercio ovvero cioè quei vincoli e norme di carattere tecnico, giuridico, commerciale e politico che in qualche modo tutelano a vario titolo i produttori, i lavoratori e i cittadini di una data nazione. Il modello dell’accordo ricalca quello in corso d’adozione sulla sponda pacifica, il Tpp (Trans Pacific Partnership), che insieme al Ttip andrebbe a formare una sorta di monolite economico, finanziario e commerciale capace di influenzare pesantemente la vita di miliardi di persone, in senso ovviamente americanocentrico.

Ai negoziati per il Ttip partecipano circa 600 lobbisti accreditati come consulenti per conto delle maggiori società multinazionali americane ed europee. Una volta raggiunto l’accordo, non ci sarà altro da fare per gli Stati europei di adeguarsi ai termini del trattato, ossia eliminare o ridimensionare tutto ciò che può essere un ostacolo, anche indiretto, al libero operare delle imprese private sui territori: sicurezza degli alimenti, soglie di tossicità, assicurazione sanitaria, norme sui farmaci (severissime in Europa), la libertà in rete, la previdenza sociale, l’energia, la cultura, i brevetti e così via.

Nel caso contravvenissero sarebbero oggetto di azione legale presso tribunali sovranazionali creati allo scopo, con potere di sanzione nei confronti degli stati, dove il collegio giudicante sarà composto da avvocati d’affari che in una causa successiva potrebbero assumere il ruolo di avvocato del querelante. In altre parole grazie al Ttip (ed al Tpp) gli operatori economici assumono il potere di sottomettere direttamente gli Stati nazionali sovrani con cui dovessero trovarsi in conflitto per qualsivoglia motivo. Negli Usa si contano circa 15.000 filiali di imprese europee, e nella Ue vi sono 50.000 filiali di imprese americane: 65.000 soggetti che possono citare in giudizio gli Stati dove hanno investito. Un sistema potenzialmente devastante, tanto più se il diritto su cui giudicare è deliberatamente approssimativo e basato oltretutto su un gigantesco conflitto d’interessi.

Al lato pratico, gli investitori devono essere messi nelle condizioni di operare “In conformità alle proprie previsioni”. Per essere più chiari: una multinazionale potrà citare in giudizio uno Stato se, successivamente all’apertura per esempio di uno stabilimento nel suo territorio, il governo dovesse decidere di adottare una politica economica diversa da quella precedente, per esempio aumentando i salari minimi, o rendendo più severe le norme ambientali o sulla sicurezza. È il paradiso della globalizzazione perfettamente compiuta e divenuta irreversibile: tanto per dirne una, la Digital Trade Coalition spinge affinché in rete vengano eliminate le barriere che limitano l’accesso al flusso di dati personali per l’utilizzo a fini pubblicitari o commerciali.

E questa è solo una delle immense possibilità che si dischiudono al capitale transnazionale, una volta che questi accordi divenissero operativi. In un mondo del genere, lo Stato cesserebbe finalmente di avere uno scopo, perfetta incarnazione dell’egemonia del capitale sulla politica, sul lavoro, financo sulla vita umana.

Matteo Rovatti

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