
L’idea per risolvere un problema ormai annoso da anni fonte di tensioni e disagi è ben lontana da quella adottata a Marsiglia, città ampiamente cosmopolita e ricca di immigrati, che ad ottobre scorso aveva mandato le ruspe a risolvere la questione nella zona della Capelette.
No, l’amministrazione Fassino ha deciso per una soluzione totalmente diversa che risponde al l’ossimorico nome di “svuotamento condiviso” (condiviso in che senso? E chi condivide cosa?): ottenere che i rom se ne vadano volontariamente. E come? Ospitandoli in strutture d’accoglienza private, almeno quelli “virtuosi”: per poter essere ammessi a questo “programma” di edilizia sociale bisogna infatti dimostrare che un membro della famiglia porti a casa uno stipendio, bisogna impegnarsi a mandare i propri figli a scuola, ad imparare l’italiano, a pagare un canone di locazione, e le spese di luce e gas.
Insomma, una manna: basta firmare qualche scartoffia e fare qualche vaga promessa di scolarizzazione e pagamento di affitto, ed ecco bell’e pronta un alloggio chiavi in mano, con tanto di mobilio. Robe per cui di solito ti devi accendere un mutuo più o meno secolare. E che oggi molti torinesi non hanno più (solamente una decina di giorni fa è apparsa nelle cronache locali l’ennesima vicenda di una famiglia con due figli piccoli costretti a vivere in macchina).
Per chi non volesse accettare queste condizioni, è possibile l’espatrio volontario. Come se finora qualcuno li avesse costretti a rimanere qui.
Il periodo di permanenza in queste strutture private non potrà essere superiore ai due anni. E poi? Cosa faranno dopo questi nomadi “virtuosi”? Torneranno a popolare il Lungo Stura? Si sceglieranno qualche altra zona di Torino in cui accamparsi (per la rinnovata gioia dei summenzionati ratti)? Chi vivrà vedrà. A questo punto meglio nemmeno chiedersi che fine faranno i nomadi che “virtuosi” non sono.
Il fatto che l’accoglienza sia offerta da strutture private non vuol dire naturalmente che alla cittadinanza non costi nulla: il progetto è stato infatti foraggiato con i fondi a suo tempo messi a disposizione dall’allora ministro dell’Interno Maroni per l’emergenza rom: destinazione che secondo la UE era illegittima. E, a distanza di anni, tra ricorsi e controricorsi, alla fine queste somme (parliamo di oltre 5 milioni di euro)sono state riassegnate attraverso un accordo con il Comune di Torino. Quindi al massimo possiamo dire che il Comune non aveva posto per i nomadi, non che all’Italia questa sistemazione non sia costata. Al di là di ciò, va rilevato come i nomadi non abbiano mai dimostrato particolare voglia di integrarsi, vivendo in comunità fortemente omogenee e refrattarie a qualunque tipo di condivisione, a partire dalla accettazione delle nostre leggi. Al contrario di molti altri stranieri il cui primo pensiero arrivati in Italia è trovare un lavoro e mandare a scuola i figli.
Dopo la boutade sulla liberalizzazione della cannabis Fassino e soci si lanciano in un’altra avventura meramente propagandistica e di facciata, priva di contenuti reali assolutamente carente sul lungo periodo.
Valentino Tocci