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Nazionale, talenti e pirateria: una tesi irreale per un sistema che non sa fare autocritica

by Marco Battistini
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Roma, 19 giu – L’Italia, in particolar modo quella del pallone, è una Repubblica fondata sull’autoassoluzione. Se c’è un problema, come da consolidata prassi, la colpa si può sempre addossare a qualcun’altro. All’arbitro che è cornuto, all’allenatore che non capisce niente, all’ultras che è un po’ come il prezzemolo e – per giornalisti e tifosi medi – sta bene in ogni causa dell’ormai cronico malessere del mondo calcistico. Così se pensavate di averle sentite tutte con la solfa dello ius soli applicato al rettangolo verde (a proposito, abbiamo riscontro sul perché il Belgio sia così forte da non aver mai vinto nulla?) ci ha pensato Luigi De Siervo a superare ogni precedente tentativo: “Molti si interrogano su come mai la nostra Nazionale sia in questa situazione e perché manchino i talenti, una motivazione sono le perdite dovute alla pirateria”. 

Una tesi che fa acqua da tutte le parti

A margine dell’evento capitolino “Stati generali della lotta alla pirateria” l’amministratore delegato della Lega Serie A ha poi aggiunto: “Tutti i soldi che ogni anno vengono persi non vengono investiti nei vivai e nella crescita dei nostri giovani, una grande problematica che ha portato la nostra Nazionale ad affrontare molte difficoltà”. 

Alzi la mano chi non si è fatto una grassa risata. La tesi è irreale, fa acqua da tutte le parti ma offre più di un interessante spunto di riflessione. Ora, non siamo di certo qui per fare apologia dello streaming illegale. Ma insomma, con uno servizio diviso tra più realtà (Dazn e Sky per il solo campionato, addirittura con parte della Champions League in esclusiva ad Amazon Prime), costi non proprio popolari e – espressa volontà delle pay-tv, vale la pena ricordarlo – l’overdose di un calcio spezzatino giocato tutti i giorni a tutte le ore, qualche domanda le televisioni a pagamento dovrebbero farsela. Autocritica, questa sconosciuta.

Talenti e pirateria

Realisticamente parlando: nel contesto del calcio moderno i soldi dei diritti tv sono di vitale importanza. Per permettere alle grandi squadre di (provare a) competere in campo continentale e per far quadrare i conti nelle compagini più piccole. Ma, ribadiamo l’ovvio, il loro (mancato) giro d’affari nulla c’azzecca con la crisi – generazionale, sistemica e culturale – del pallone italiano

È una questione di logica e osservazione dei fatti. Il campionato argentino di certo non spicca storicamente per introiti televisivi e pure la Ligue 1 di recente qualche problema l’ha avuto. Solo per parlare di chi ha vinto le ultime due edizioni dei mondiali. 

I giovani? Valgono l’1%

Così, se ci può essere una correlazione tra ritorno economico delle emittenti e diritti incassati dalla Lega (quindi dalle singole società) non sta scritto da nessuna parte che i tanto contestati “300 milioni di euro persi all’anno” si possano trasformare come per magia in abbonamenti regolari e che la cifra venga poi totalmente reinvestita nei settori giovanili.

La controprova ci arriva da un recente articolo del sito specializzato Calcio e Finanza: l’utilizzo dei giovani (italiani più stranieri, addirittura) vale l’1,1% dei 900 milioni di euro che dai conti correnti di Sky e Dazn finiscono nelle tasche delle venti partecipanti al campionato di Serie A. Briciole, in media nemmeno mezzo milione a società. A distanza di un paio di anni possiamo affermarlo: la legge anti-pirateria, tanto sponsorizzata da Luigi De Siervo, si è rivelata un flop. E il calcio italiano era già in coma irreversibile ben prima del moderno pezzotto.

Marco Battistini

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