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La Serie A e l’ipocrita campagna contro la pirateria. Ma il calcio era già morto

by Lorenzo Cafarchio
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Roma, 7 ago – Ipocrisia. Dal greco simulazione. Piange il mondo del pallone e lo fa, questa volta, lanciando la sua personale campagna contro la pirateria. “La pirateria uccide il calcio”, con tanto di hashtag #stopiracy, è lo slogan fatto caracollare sul rettangolo verde da parte della Lega di Serie A. Nel comunicato diffuso in questi giorni si legge: “Considerando che la principale forma di pirateria è quella digitale, che ha luogo in varie modalità sul web, e calcolando solo gli users abituali di internet, l’incidenza della pirateria tra gli adulti nel nostro Paese supera il 60%”.

Ma non finisce qui. L’amministratore delegato, Luigi De Siervo, della Lega di Serie A ammonisce: “Solo in Italia il danno stimato è di oltre un miliardo di euro all’anno, con 6 mila posti di lavoro a rischio. Ma evidentemente il problema non riguarda solo il nostro Paese, stiamo infatti combattendo una battaglia durissima, insieme alla Fifa, alla Uefa e ai maggiori campionati europei, contro la piattaforma araba beoutQ e tutte le Iptv pirata”.

Tifosi sul piede di guerra

Davanti a questa battaglia, combattuta sulla difesa dei privilegi di introiti e ripartizioni tra club e televisioni a pagamento, il mondo dei tifosi è insorto. Come non bastassero 29,90€ (per i primi 12 mesi poi diventeranno 43,20€) al mese per assicurarsi su Sky l’ex campionato più bello del mondo ai cui, comunque, vanno sommati i 9,90€ per poter ammirare la sinuosa Diletta Leotta sul palinsesto di DAZN. Per via di intricati ragionamenti di suddivisione delle partite. Per gli inguaribili romantici, che ancora assaporano il profumo dei gradoni, non resta invece che spalancare il portafoglio. Sopratutto a Torino. Per vedere la Juventus? L’abbonamento più a buon mercato? 650,00 € in tribuna nord.

Sarà anche vero che la pirateria ha messo in ginocchio il calcio, eppure resta difficile immaginare che il colpo di grazia alla pelota non l’abbiano inferto gli spezzatini, le partite al venerdì, al lunedì, alle 18:00 e le curve a prezzi folli. Lo sport, popolare per eccellenza, unica religione senza atei rimane prigioniero non della fede, ma di una parabola.

Lorenzo Cafarchio

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