Roma, 24 ott – L’Europa tenta un nuovo salto strategico, e questa volta guarda al cielo. Leonardo, Airbus e Thales sono pronte a lanciare il Progetto Bromo, una joint venture da dieci miliardi di euro destinata a creare un polo satellitare europeo capace di competere con Starlink e con le mega-costellazioni statunitensi e cinesi. Un’alleanza industriale che, se approvata nelle prossime ore, potrebbe rappresentare per lo spazio ciò che il consorzio MBDA è stato per i missili: la prova che la cooperazione europea, quando si radica in una visione di potenza, può ancora produrre sovranità.
Un modello industriale europeo
Il progetto Bromo, sostenuto dai governi di Roma e Parigi, nasce con l’ambizione di superare la frammentazione che da anni indebolisce il comparto spaziale europeo. L’obiettivo è costruire una piattaforma comune in grado di unire le competenze tecnologiche di Leonardo e Thales con le capacità produttive e infrastrutturali di Airbus. Il nome, ispirato al vulcano indonesiano, evoca la forza di un progetto che vuole ridisegnare gli equilibri industriali continentali. Perché oggi, nello spazio, si gioca una parte decisiva dell’autonomia strategica europea: comunicazioni, difesa, intelligence, sicurezza dei dati e gestione dei conflitti futuri passano ormai per le orbite basse e medie del pianeta.
Lo spettro di Starlink
Il rivale da battere è ovviamente Starlink, la costellazione di Elon Musk che domina il mercato mondiale dell’internet satellitare. Mentre SpaceX produce e lancia in serie migliaia di satelliti a basso costo e a bassa latenza, l’Europa resta ancorata a tecnologie più grandi, più lente e più costose.
Il Progetto Bromo punta a colmare questo divario, passando da una logica di singoli apparati a una produzione più agile, modulare e scalabile. In altre parole, a trasformare l’industria spaziale europea in un ecosistema competitivo e autosufficiente. Una rivoluzione che richiederà non solo fondi, ma una vera volontà politica di indipendenza: senza di essa, nessuna integrazione industriale potrà durare.
Bromo, sovranità tecnologica e sfida geopolitica
Lo spazio è ormai un terreno di confronto strategico globale, e non un semplice mercato. Gli Stati Uniti, con la NASA e SpaceX, hanno consolidato una filiera integrata pubblico-privata capace di garantire al Pentagono comunicazioni militari in tempo reale in ogni parte del mondo. La Cina avanza con i suoi programmi Beidou e Tiangong. L’Europa, al contrario, ha vissuto finora di progetti nazionali disarticolati: l’Italia con Telespazio e Avio, la Francia con Thales Alenia, la Germania con le sue piattaforme di osservazione. Bromo potrebbe rappresentare l’occasione per un salto politico oltre che tecnologico: la nascita di un’industria spaziale continentale realmente autonoma, che non dipenda né da Washington né da Pechino.
Le incognite
Restano tuttavia molte sfide aperte: dalle regole antitrust europee, che potrebbero rallentare il processo di fusione, alla definizione della governance e della distribuzione produttiva tra i partner. Senza dimenticare i tempi tecnici di approvazione: tra memorandum, verifiche e controlli, la piena operatività della joint venture è attesa solo tra i 18 e i 28 mesi.
Una prova di volontà
Nei giorni scorsi, l’amministratore delegato di Leonardo Roberto Cingolani ha definito l’intesa “molto probabile”, confermando il clima di convergenza. I mercati hanno risposto con entusiasmo: Leonardo ha guadagnato oltre il 4%, Thales il 3,5%, Airbus l’1,4%. Segnali che testimoniano la fiducia verso un progetto che, se realizzato, potrebbe trasformare il sogno di un’Europa potenza tecnologica in un obiettivo concreto. Il Bromo non sarà solo un consorzio industriale. Sarà il banco di prova di una scelta più profonda: decidere se l’Europa vuole restare un mercato o tornare a essere una civiltà capace di progettare, costruire e difendere se stessa — anche nello spazio.
Vincenzo Monti