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Trap, l’ultima visione di Shyamalan

by Roberto Johnny Bresso
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Trap

Roma, 24 ago – Ci sono registi (anzi, meglio dire autori) che sono nati per far discutere qualsiasi cosa facciano ed ogni loro opera diventa sempre motivo di dibattito tra chi li adorerà sempre e chi invece li stroncherà a prescindere. Ma nel mondo odierno di Hollywood dove tutto è standardizzato e livellato (molto spesso verso il basso), ben vengano persone come M. Night Shyamalan, regista indiano naturalizzato statunitense.

Shyamalan, un percorso creativo

Shyamalan ha raggiunto il clamoroso successo planetario nel 1999 con The Sixth Sense, bissato l’anno successivo con Unbreakable. Grazie all’icona Bruce Willis e a trame spiazzanti che stupiscono fino all’ultimo fotogramma, l’autore indiano sembrava destinato alle più alte vette, ma poi il pubblico si è fatto sempre più smaliziato e internet ha iniziato a spoilerare trame, così che un paio di insuccessi commerciali lo hanno fatto ben presto precipitare nel dimenticatoio, accusato di aver perso il suo tocco magico. In realtà Shyamalan è andato avanti a sperimentare (a volte bene, a volte con più fatica), non ostinandosi a ripetere sempre lo stesso film e, come ripetuto recentemente, non scadendo mai nel cliché dell’immigrato che racconta storie lacrimevoli su altri immigrati.

Trap

Ed ecco che in questa estate rovente è ritornato nelle sale con la sua ultima fatica, Trap. Sì, c’entra la musica ma non è la famigerata trap: il titolo infatti sta a significare “trappola”. Cooper (uno straordinario ) è un vigile del fuoco e padre amorevole che porta la figlia adolescente Riley al concerto della pop star Lady Raven (una sorta di Taylor Swift), salvo poi scoprire che il concerto non è altro che una grossa trappola per arrestare il feroce serial killer del Macellaio… che altri non è che lui stesso! Già, non vi svelo nulla di segreto visto che nel 2024 è praticamente impossible tenere nascosta la cosa, tanto che il regista lo svela già dal trailer. Ma la caccia al feroce omicida è solo una delle tante trappole della pellicola: abbiamo infatti la trappola dello stesso Cooper con la sua ultima vittima, la trappola che metterà in piedi Lady Raven e altre trappole che non vi sto a svelare.

Al contrario di The Sixth Sense, dove tutto il fascino del film risiedeva nel finale a sorpresa, qui la struttura narrativa ci porta ad interrogarci su noi stessi, più che sullo svolgimento della trama (sì, ha anche alcune trovate eccessive che richiedono la sospensione dell’incredulità). Sappiamo che Cooper è un serial killer spietato, ma non vediamo praticamente mai quel suo lato in azione, mentre lo osserviamo come un padre e un marito devoto, che nella vita di tutti i giorni è molto più intelligente, educato e sensibile della maggioranza delle persone nelle quali abitualmente ci imbattiamo. E quindi a volte ci troviamo inevitabilmente a tifare per lui e per quel suo sorriso da finto ingenuo che ci porta a riflettere sul fatto se l’autentico Cooper sia il papà o il serial killer. E alla fine ci rendiamo conto che la trappola non è altra che quella che Shyamalan ha teso ancora una volta a noi, che siamo costretti ad interrogarci su quanto spesso noi stessi e le persone anche a noi più vicine indossino una maschera e se quella maschera ci renda più o meno veri. Trap quindi non sarà un film perfetto, ma non si scorda facilmente e ci porta a riflettere. Quante poche volte ormai lo facciamo andando al cinema?

Roberto Johnny Bresso

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