Vikings non è nata negli Stati Uniti, bensì si tratta di una co-produzione tra Canada e Irlanda, ed è inoltre il frutto maturo dell’ispirazione di una penna genuinamente europea, quella del britannico Michael Hirst, già curatore della sceneggiatura del film Elizabeth e della serie I Tudors. Questo vuol dire che la ricostruzione storica è rigorosa e che la ormai noiosa pirotecnica dei combattimenti action lascia il posto a un affascinante realismo guerriero: niente duellanti che si affrontano in tripli salti con avvitamento carpiato, quindi. Le scene di combattimento rispondono anzi a un (neo)verismo che, appropriandosi delle moderne tecniche cinematografiche (altrimenti usate per meri tecnicismi sensazionalistici), ci restituiscono invece la rappresentazione soggiogante di un’umanità eroica che non è superomistica nel senso marvelliano (e deteriore) del termine, bensì niccianamente ed autenticamente sovrumanista.
Ma c’è qualcosa di più che rende Vikings un’impresa unica nel suo genere: la totale assenza di pregiudizi morali. Non esistono i “buoni” e i “cattivi”, non esiste alcun “bene” da contrappore ad alcun “male”. I popoli del nord (“normanni”, appunto) non sono selvaggi da redimere o da “educare”, né le popolazioni cristiane appaiono come vittime inermi o come una civilizzazione decadente. Hirst, invece, pone in scena due civiltà differenti che vivono secondo codici etici e religiosi differenti – due civiltà che si disprezzano reciprocamente e che spesso arrivano allo scontro, ma che sono capaci anche di incontri. Il personaggio di Athelstan (interpretato da un bravo George Blagden) svolge in questo senso un ruolo decisivo: monaco devoto a Cristo, verrà fatto prigioniero e tradotto a Kattegat, il villaggio di Ragnar. Qui imparerà gli usi e i costumi dei vichinghi, conoscerà i loro dèi e i loro culti, diventando addirittura uno di loro. Uomo tormentato e diviso, eternamente tra coloro che son sospesi, Athelstan è la figura che fa da tramite tra mondo vichingo e mondo cristiano: «Nella gentile pioggia che viene giù dal cielo, io sento il mio dio, ma nel tuono sento ancora Thor. Questa è la mia agonia».
La serie non lesina neanche su violenza, eros ed intrighi: i costumi sessuali della popolazione vichinga, più liberi rispetto alle voglie represse delle dame cristiane, così come la brutalità in battaglia e l’ambizione politica, vengono infatti rappresentati con dovizia di particolari. Ma fortunatamente siamo ben lontani da quelle forme di voyerismo patologico e di gusto splatter che caratterizzano la troppo osannata serie Trono di spade o dal “cospirazionismo” ossessivo di Roma, in cui la politica è il regno dell’intrigo e mai degli ideali (una concezione della politica, del resto, molto più anglosassone che non romana). Hirst affronta invece queste tematiche con l’eleganza e la delicatezza di chi non si abbandona a letture unilaterali o compulsive della realtà, rappresentando quindi l’umanità europea (tanto pagana quanto cristiana) in tutte le sue sfaccettature: coraggio e viltà, ambizione e disinteresse, onore e disonore, devozione ed empietà. A suo modo, Hirst ci restituisce una piccola enciclopedia della natura umana.
Probabilmente sarebbe troppo pretendere di rintracciare in Vikings messaggi politici o allegorie ulteriori. Tuttavia rimane possente la fascinazione per questa umanità guerriera che può solo generare un’adesione incondizionata o un assoluto rifiuto. In qualche maniera si tratta della narrazione e della rappresentazione di un’antica possibilità di esistenza per l’uomo europeo. Un’esistenza fatta di giovinezza e salute, debordante ed espansiva, che costantemente tende alla gloria e alla grandezza. Forse, più che una semplice serie televisiva, Vikings è per gli europei la più potente esortazione a fare i conti con sé stessi.
Valerio Benedetti
3 comments
Vikings spacca!
Bella serie televisiva, non ho perso una puntata dalla prima serie. Interessanti anche gli accostamenti tra sacralità pagana e cristianesimo, iimpersonati dal monaco che ha vissuto con i vichinghi e che dichiara di amare Odino e Cristo, anche quando torna a contatto col suo mondo cristiano. Senza dubbio migliore di tante serie che guardano solo all’azione e poco al mondo in cui agiscono i personaggi
Già, vero.