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Pil 2016 a +0,9%: come spacciare una stagnazione per crescita

by Filippo Burla
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Pil crescita stagnazioneRoma, 1 mar – Sarà anche ai massimi da sette anni a questa parte, quando nel 2010 segnò +1,3%, ma da qui a parlare di crescita ce ne passa. Il Pil cresce, è vero, non riuscendo però a centrare la cifra tonda e mantenendo così sotto scacco le speranze di ripresa.

Nelle stime finali relative all’anno 2016, l’Istat spiega che “il Pil è cresciuto dello 0,9%”, un dato sensibilmente più basso rispetto a quello delle economie più avanzate, dove l’indicatore cresce “in Germania (1,9%), nel Regno Unito (1,8%), negli Stati Uniti (1,6%) e in Francia (1,1%)”. Rispetto alle previsioni di inizio anno, con il ministero che dava per quasi scontato un robusto +1,6%, si tratta di un errore superiore al 40% del valore iniziale.

Non è andata meglio con le stime successive, tutte più o meno concordi nel fatidico superamento dell’1%, soglia non solo psicologica. Al di sotto di essa, a voler essere generosi, si può infatti parlare al massimo di stagnazione. Specie dopo un periodo di severa recessione, la crescita è davvero un’altra cosa e dovrebbe almeno toccare il 2% per poter essere considerata tale.

A riconoscere la debolezza della dinamica del Pil è lo stesso ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan: “ ancora troppo lenta, come prima della crisi. Per creare e benessere dobbiamo liberare energie realizzando “, ha scritto sul suo profilo Twitter. Quali riforme? Lo spiega in un altro commento: “Tornare a crescere e aggiustare i conti: non è facile ma Istat conferma che stiamo ottenendo entrambi i risultati”. Ecco la sempreverde disciplina di bilancio, che per inciso è stata quella che ha contribuito a portare alla deriva il Pil nazionale. Se la spesa pubblica è infatti una sua componente inscindibile, tagliando quest’ultima ne risulta una contrazione nel prodotto interno lordo. Non è politica ma matematica elementare, mentre la scienza economica ci viene in aiuto confermando nella pratica quello che viene studiato in teoria: meno speso pubblica significa meno effetto moltiplicatore, trascinando ulteriore il Pil in una spirale negativa. Ma Padoan questo lo sa benissimo, essendo farina del suo sacco data la sua trascorsa attività di docenza universitaria proprio su questi argomenti. E sa anche benissimo che i conti pubblici italiani sono tutto tranne che bisognosi di ulteriori rettifiche, dato che l’avanzo primario (indebitamento netto meno la spesa per interessi) è addirittura aumentato: “misurato in rapporto al Pil, è stato pari all’1,5% (1,4% nel 2015)”, spiega sempre l’Istat. Dove sta allora la necessità di rigore sui conti? Solo negli assurdi vincoli europei, in quella austerità continua e costante – necessaria solo per garantire sopravvivenza artificiale all’euro – e con la quale non torneremo mai davvero ad esprimere il nostro potenziale.

Filippo Burla

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