
E proprio la lotta alla criminalità e alla corruzione, annidata nei gangli del governo centrale di Manila, sono stati i punti cardine del suo programma. Così come i populisti europei alla Marine Le Pen si pongono come una sorta di “sindacato” del popolo “reale” in contrasto con lobby e poteri forti, Duterte si è posto come alfiere della “periferia” delle Filippine (Davao è nell’estremo sud a 1550km dalla capitale Manila) contro il potere centrale corrotto. Un potere che mantiene forti squilibri all’interno di una società, dove i benefici della crescita economica al 6% non sono equamente distribuiti. Uno degli obiettivi di Duterte è proprio quello di riformare, con l’ausilio del parlamento, la costituzione in senso federale.
Ma la campagna elettorale di Duterte, oltre che per le proposte politiche, è stata caratterizzata dai toni non proprio politicamente corretti. Ne è un esempio la dichiarazione sugli “obitori da riaprire”, visto che sarebbe stato lui stesso a “portarci i criminali”, o la dichiarazione in odor di sessismo su una missionaria australiana stuprata anche perché “era molto bella”. Non male anche le dichiarazioni sul parlamento, non da trasformare in “un bivacco di manipoli” ma direttamente da “chiudere” nel caso non fosse riuscito a portare a termine il suo programma. Nonostante i suoi avversari abbiano tentato di screditarlo paventando il ritorno della dittatura, lui è riuscito a convincere i filippini a dargli fiducia, anche grazie alla volontà di far rispettare la sovranità nazionale delle Filippine anche in campo internazionale, visto che non si è fatto scrupolo di parlare a brutto muso anche al governo cinese in una disputa territoriale riguardante alcune isole. Un uomo forte e risoluto, a cui i filippini, anche quelli che abitano in Italia (basti pensare che tra i filippini che abitano a Roma ha ottenuto l’85% dei consensi) hanno voluto dare il proprio sostegno per sconfiggere la casta politica corrotta che governa il loro paese.
Davide Di Stefano
2 comments
Bene. A che ora è il prossimo aereo per le Filippine? Un biglietto, per favore. Sola andata.
Figurarsi se una istituzione come amnesty international, paladina dei “diritti” dei criminali di tutto il globo, non lo criticava.