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Ray Donovan, ovvero la serie perfetta

by Roberto Johnny Bresso
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Roma, 2 ago – Qualche settimana fa vi avevo parlato del mio entusiasmo per MobLand, la nuova serie prodotta da Guy Ritchie. Ahimè, avevo ignorato da dove provenisse l’idea: precisamente da un prodotto andato in onda dal 2013 al 2020 e che, non so bene perché, mi era sfuggito: Ray Donovan. Ho voluto rimediare e, wow, mi sento di dire di essere di fronte alla serie tv praticamente perfetta.

Professione fixer

Torniamo un attimo ai nostri giorni. MobLand venne annunciata inizialmente con il titolo The Donovans e doveva essere, appunto, uno spin-off di Ray Donovan, nel quale veniva raccontata l’origine della famiglia malavitosa irlandese poi trasferitasi negli Stati Uniti. Alla fine, causa cambio di produzione, MobLand venne parzialmente riscritto, diventando così un progetto a sé. Ciononostante l’analogia tra le due scritture è abbastanza evidente, soprattutto per quanto riguarda il protagonista Tom Hardy, mutuato da quello di Liev Schreiber.

Ed ecco appunto che torniamo indietro nel tempo al 2013. Per la rete televisiva Showtime, Ann Biderman scrisse la storia del faccendiere Ray Donovan, che svolge a Los Angeles il lavoro di fixer, vale a dire risolutore di problemi (con metodi spesso fuori dalla legalità), per uomini d’affari, celebrità del mondo dello spettacolo e dello sport e malavitosi vari. Al contempo cerca di tenere in piedi il rapporto con la moglie ed i due figli e con i suoi due fratelli, proprietari di una palestra di pugilato, e con un carico da novanta di problemi fisici e psicologici.

Un rapporto conflittuale

Tutto precipiterà con il rilascio dal carcere dopo oltre vent’anni del padre Mickey, che porta in dote anche un altro figlio, avuto da una donna nera. Innanzi tutto Ray Donovan ha regalato i ruoli della vita a Liev Schreiber, nella parte di Ray, e Jon Voight, nella parte di Mickey, che gli valse il Golden Globe nel 2014. Il rapporto conflittuale tra i due è magnificamente mostrato in ogni episodio. Tanto il figlio risolve problemi, quanto il padre ne crea. Ray non solo non si fida di Mickey, ma gli imputa anche il collasso della loro famiglia. Famiglia che si è trasferita da Boston, enclave irlandese negli States, a Los Angeles, la capitale del cinema e di tutto ciò che il “sogno americano” mostra di più effimero.

Ray Donovan non lesina tensioni, spesso violenza. Ma anche una comicità sarcastica molto molto british, tanto da sembrare una serie anglosassone del tanto ben sfruttato filone crime. Ma, più prosegue la storia, più emergono anche lati inquietanti. Come quello del caso dello scandalo pedofilia nella Chiesa Cattolica di Boston. Si verrà a scoprire che anche i protagonisti stessi ne sono stati travolti. Liev Schreiber si carica sulle spalle un personaggio tormentato che non può certamente essere considerato una figura positiva, sovente nemmeno all’interno della sua stessa famiglia, ma è un deus ex machina necessario per tutti coloro che gli stanno intorno, proprio per la sua abilità di soffocare i sentimenti.

Ray Donovan: l’azione in sé

Donovan svolge il suo lavoro con la metodica prassi di un contabile e la spietatezza di un sicario. Ma non lo fa né per i soldi né per il potere. A lui ciò che interessa è semplicemente l’azione in sé. Ed il padre è quindi la sua perfetta nemesi, nell’essere “un albero cresciuto storto”. Ogni personaggio, anche quelli secondari, è fondamentale alla storia che, oltreché nella scrittura, ha la forza di aver trovato attori perfetti, con comprimari anche di lusso del calibro di Elliot Gould, James Woods, Rosanna Arquette, Hank Azaria, Ian McShane, Katie Holmes, Eddie Marsan e Susan Sarandon… tanto per citarne alcuni.

Sette stagioni per un totale di 82 episodi, più un film conclusivo nel 2022, per un successo clamoroso di critica e di pubblico. Tanto che ne è stato fatto persino un remake indiano, dal titolo Rana Naidu. Tutte le stagioni le potete trovare su Paramount+ e vi garantisco che non ve ne pentirete. Magari, durante la visione, versatevi un buon whiskey come fanno spesso i protagonisti e… Sláinte!

Roberto Johnny Bresso

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