
“Le norme sugli aiuti di Stato consentono solo di promuovere la competitività a lungo termine e l’efficienza delle acciaierie, ma non di sostenere i produttori che versano in difficoltà finanziarie”, spiegano dalla Commissione, specificando che l’indagine “vaglierà in particolare se l’accesso agevolato al finanziamento accordato all’Ilva per ammodernare lo stabilimento di Taranto le dia un vantaggio sui concorrenti”. La procedura non dovrebbe comunque interrompere le bonifiche: “Data l’urgenza di decontaminare il sito, la Commissione prevede anche garanzie che consentono all’Italia di attuare subito il risanamento ambientale”, fanno sapere da Bruxelles.
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Nell’occhio dei commissari sono i 300 milioni del prestito-ponte di inizio dicembre, oltre agli 800 stanziati dalla finanziaria 2016 e i 400 milioni di fondi già erogati per la messa a norma del siderurgico. In totale fanno 1.5 miliardi di euro che, qualora la procedura dovesse avere esito negativo per l’Italia, Ilva sarebbe chiamata a restituire. Una spada di damocle che pende sulla testa dell’acciaieria, della quale è stata da poco annunciata la cessione prossima ventura. “La migliore garanzia di un futuro sostenibile per la produzione siderurgica nel Tarantino è la cessione delle attività dell’Ilva a un acquirente che le metta in conformità con le norme ambientali e le sfrutti a scopi produttivi”, ha chiosato la Vestager. Senza accorgersi che la cessione risulterà, con il nodo dell’indagine ancora aperta, estremamente difficile. Chi si assumerà a questo punto l’onere di acquistare un’attività con il rischio di dover poi far fronte ad un rimborso record? A meno che, all’atto della vendita, non si proceda con un sostanzioso sconto sul prezzo oppure si vada verso il depotenziamento del sito. Vista l’insistenza con la quale l’Ue insiste sulla sovracapacità produttiva dell’acciaio del vecchio continente, non è escluso che le motivazione alla base dell’infrazione siano proprio queste ultime.
Filippo Burla