Roma, 13 set – Ci sono alcune opere, siano esse cinematografiche, letterarie o musicali, che sono destinate a passare alla storia come pura arte. A divenire immortali ed apprezzate con il tempo ancor più di quando sono state realizzate. In questa categoria, a mio avviso, rientra senza alcun dubbio il film di Martin Scorsese Gangs of New York.
Le origini violente dei moderni Stati Uniti
Alla base della pellicola è il libro del 1928 The Gangs of New York: An Informal History of the Underworld di Herbert Asbury, un testo, incredibilmente avanti con i tempi, documentaristico di analisi del sottobosco delle gang criminali della Grande Mela. Il tutto narrato con una fantastica componente umoristica che lo rende assolutamente godibile anche ai nostri giorni.
Ecco che così, nel 2002, l’idea alla base del resoconto giornalistico diviene il nucleo del film omonimo di Scorsese, che si pone l’obiettivo di mostrare le origini violente dei moderni Stati Uniti, come suggerisce lo slogan stesso: “L’America è nata nelle strade”. Siamo nel 1846 nel degradato quartiere newyorkese di Five Points e si svolge la battaglia per il controllo del territorio tra i Nativi (anglosassoni e protestanti), guidati da Bill il Macellaio (uno straordinario Daniel Day-Lewis), e i Conigli Morti (irlandesi e cattolici), capeggiati da Prete Vallon (Liam Neeson). Bill uccide il rivale e bandisce i Conigli Morti. Ma, in segno di rispetto per Vallon, ne risparmia il figlio, mandandolo in riformatorio. Nel 1862 egli, detto Amsterdam (Leonardo DiCaprio), tornerà ai Five Points in incognito in cerca di vendetta, innamorandosi anche della borseggiatrice Jenny (Cameron Diaz).
Un’America che cambia
Per chi, ahi loro, non avesse visto la pellicola, non anticipo gli accadimenti delle quasi tre ore di film. Ma basti dirvi che tutto scorre che è una meraviglia, sia dal punto dei dialoghi che delle scene d’azione (la battaglia iniziale e quella conclusiva sono pura magia adrenalinica per gli occhi). Con il finale che ci mostra le tombe dei due vecchi rivali che subiscono il passare dei decenni. E vengono quindi dimenticati da un’America che cambia, pur restando sempre indissolubilmente legata a doppio filo con la violenza. Tanto che fa effetto vedere il World Trade Center ancora in piedi, in quanto il montaggio finale era stato chiuso proprio prima dell’attacco terroristico dell’11 settembre 2001.
Gangs of New York, l’ultima grande produzione di Cinecittà
Gangs of New York era già nella testa di Scorsese fin dagli anni ’70. Ma all’epoca non aveva certo i fondi per poterlo girare, così si dovette attendere il nuovo millennio, con il film interamente girato a Cinecittà, con una minuziosa ricostruzione della New York ottocentesca. Probabilmente l’ultima grande produzione realizzata negli, un tempo gloriosi, studi di Roma.
Inoltre la produzione venne rallentata in quanto Harvey Weinstein spingeva affinché la battaglia per il controllo del territorio rimanesse sullo sfondo rispetto alla storia d’amore tra Amsterdam e Jenny. Ma, per fortuna, Martin Scorsese ebbe la meglio sul produttore. L’interpretazione di Bill da parte di Daniel Day-Lewis fu un qualcosa di sensazionale. A tal punto che, quando iniziarono le riprese, non uscì mai più dal personaggio fino all’ultimo ciak. Assurdamente non vinse l’Oscar come miglior attore. Anzi il film, a dispetto di dieci candidature, non si aggiudicò nemmeno una statuetta. Un fatto abbastanza surreale. Ma, in fondo, la pellicola non fu nemmeno un così enorme successo al botteghino e pure le critiche non furono troppo entusiaste. Al solito ci ha pensato il tempo a portare Gangs of New York dove doveva stare. Vale a dire nell’Olimpo della settima arte, tanto che ne è stata annunciata recentemente anche una trasposizione televisiva.
Roberto Johnny Bresso