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La grande bugia dell’austerità: la lezione portoghese

by Claudio Freschi
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Lisbona, 23 feb – Dopo la grande crisi del 2008 che ha portato le economie del mondo occidentale sull’orlo del collasso, ci è stato detto che l’unica possibile risposta, inevitabile e necessaria, era quella di intraprendere la strada dei tagli alla spesa pubblica e dei sacrifici, in una sola parola austerità.

In ogni nazione si sono visti tagli ai servizi pubblici, riduzioni degli stipendi, congelamento degli aumenti sulle pensioni e privatizzazione selvaggia di aziende o beni di proprietà statale.

I danni dell’austerità

Non si è salvato da questo destino il Portogallo, uno dei paesi più colpiti dalla profondissima crisi economica, che nel 2011 è stato costretto a ricorrere al programma di Bailout del Fondo Monetario Internazionale, ovvero trovandosi impossibilitato a finanziare il proprio debito pubblico il Portogallo ha ottenuto dalla Troika (ovvero la Commissione Europea ed la Banca Centrale Europea oltre al già citato Fmi) un prestito di 78 miliardi di euro, in cambio di una riduzione drastica della spesa pubblica ed un taglio importante su salari e pensioni.

Nel giro di soli due anni, il governo guidato da Pedro Passos Coelho a capo di una coalizione fortemente europeista formata da socialdemocratici e popolari, ha tagliato i fondi per educazione, sanità e servizi sociali di quasi il 20%. Ovviamente la mancanza di investimenti e di fiducia, unita al deterioramento delle condizioni di vita ha ulteriormente peggiorato la situazione. La disoccupazione ha toccato picchi del 17,5%, il tasso di povertà è cresciuto a dismisura e il numero di imprese insolventi e costrette alla chiusura è aumentato al ritmo del 40% all’anno.

Alla fine del 2015 era chiaro che l’esperimento basato sull’austerità era fallito e le elezioni politiche con il crollo di consensi per la coalizione di governo ne hanno decretato la fine.

Politiche keynesiane

Il nuovo governo, formato dal partito socialista del nuovo premier Antonio Costa e da una serie di partiti minori di sinistra, ha messo da subito in chiaro che la politica economica della nazione avrebbe subito una svolta importante ponendo fine alle misure restrittive imposte dall’Unione Europea.  Ovviamente le forze europeiste si sono affrettate a chiamarla “voodoo economics” in tono canzonatorio, prevedendo disastri, un nuovo e più vincolante intervento della Troika con ulteriori e addirittura più significativi tagli alla spesa.

In realtà nelle tesi economiche del nuovo governo non vi era nulla di esoterico, bensì un semplice ragionamento di natura keynesiana, ovvero i tagli alla spesa pubblica comprimono la domanda, per tornare a crescere bisogna stimolare in modo importante i consumi e gli investimenti.  E così è stato, con una serie di provvedimenti il governo portoghese ha aumentato i salari minimi, ha riportato le pensioni e gli stipendi pubblici ai livelli pre-crisi (alcuni erano stati tagliati di oltre il 30%) ed ha addirittura ridotto le ore lavorative ed aumentato le giornate di ferie.  Allo stesso tempo la spesa per la sanità e per l’assistenza sociale delle famiglie meno abbienti è stata incrementata in maniera significativa, così come quella per gli investimenti attraverso sgravi fiscali alle aziende e finanziamenti alle piccole e medie imprese. Interessante anche l’idea di detassare le pensioni estere, che ha portato moltissimi anziani europei a trasferirsi in questo paese.

Il disastro preannunciato dalle cassandre favorevoli all’austerità non si è materializzato, ed anzi il Portogallo ha inanellato una serie di 13 trimestri consecutivi di crescita del prodotto interno lordo ed ha portato i livelli di disoccupazione a livelli pre-crisi ovvero intorno al 7%.

Nonostante i livelli di deficit andassero ben oltre i limiti imposti dal Fiscal Compact, la Commissione Europea si è ben guardata da applicare le sanzioni per la procedura di infrazione aperta, consentendo più spazio di manovra al governo portoghese, ma certamente non per buon cuore bensì per prevenire un ulteriore crescita dei movimenti anti austerità in tutta Europa. A conferma di questo nel marzo 2018 il Portogallo ha raggiunto un accordo con la Ue per tenere fuori dalla contabilità di bilancio e quindi dal deficit, i soldi spesi per la ricapitalizzazione di una delle principali banche a partecipazione statale portoghese, la Caixa Geral De Depositos, esponendo ancora una volta la vera faccia dell’Europa, ovvero giocare con i numeri a seconda dei propri interessi ed obiettivi politici.

Il Portogallo è riuscito quindi a incrementare gli investimenti pubblici, aumentare l’occupazione e avviare una crescita costante e sostenibile. Tutto questo ci è sempre stato detto fosse impossibile da ottenere se non attraverso una rigorosissima politica di tagli e sacrifici, il mantra degli ultra liberisti è sempre stato “non vi è alternativa all’austerità”.

Il successo della nazione lusitana può essere fonte di ispirazione per gli altri paesi europei, ed una occasione per mettere fine alle fallimentari politiche restrittive che hanno messo in ginocchio molte economie dell’eurozona e peggiorato sostanzialmente le condizioni di vita delle fasce sociali meno abbienti.

Claudio Freschi

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2 comments

Luca 23 Febbraio 2019 - 3:13

debito pubblico del portogallo? grazie!

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Edoardo Strippoli 23 Febbraio 2019 - 8:00

I numeri non mentono mai, e se questo è il risultato del l’aver applicato semplici regole matematico/economiche ad una situazione di crisi grave, forse è questo l’esempio da seguire, alla faccia delle agenzie di rating e di chi sostiene l’austerità a prescindere.
Comunque, è quello che stanno facendo i nostri governanti con reddito di cittadinanza e quota 100,e solo il tempo dirà chi ha ragione.
Ma vi immaginate le faccie che faranno chi sta in tutti i modi boicottando tutto questo se i famosi numeri dovessero dare ragione al governo? Spettacolo da non perdere!

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