Roma, 25 giu – Era il 25 giugno 1948 quando Berlino Est osservò con i suoi occhi l’operazione del “ponte aereo” organizzato dagli Stati Uniti e dagli Alleati. La guerra, ormai finita da tre anni, aveva espresso la sua sentenza più importante: al di là degli accordi in chiave anti-tedesca, sovietici e americani non avrebbero nemmeno più fatto finta di essere “amici”. E la coesistenza si rivelò complicata proprio nel “puzzle” della capitale tedesca, divisa tra i settori occidentali di pertinenza alleata e quello che, invece, era controllato da Mosca. Il “ponte aereo” fu in realtà un sensazionale elemento per la propaganda americana in chiave anticomunista, ma rappresentò anche una delle prime – pur minuscole – crepe del blocco.
Berlino, quel ponte aereo che anticipò le fragilità del muro
Anzitutto, l’operazione ebbe un’importante preambolo: quel “blocco di Berlino” operato dalle autorità sovietiche, che appena il giorno prima, il 24 giugno, interruppero i collegamenti del lato Est della città con l’Ovest, sia ferroviari che stradali e di altro genere. La scelta fu l’ultimo tentativo di reazione di Mosca ai rifiuti occidentali di pagare i danni di guerra, che sarebbero stati versati dalla futura Repubblica Federale Tedesca. Quando però il presidente americano Harry Truman introdusse la nuova moneta nell’area di occupazione occidentale (il marco tedesco, appunto), la tensione con Mosca si fece crescente. L’idea di Stalin era quella di una Germania completamente smilitarizzata e neutrale, e successivamente unificata.
Una proposta che Washington declinò, e che avrebbe portato ben presto l’Urss a promuovere la nascita, l’anno successivo, della Repubblica Democratica Tedesca. Il “blocco” nacque dalla ferma volontà sovietica di vedere andar via gli occidentali da Berlino Ovest (che si trovata nel pieno del territorio sotto amministrazione russa). Il “ponte” fu la reazione del 25 giugno. Una reazione attuata non senza precisi calcoli politici. Con la cosiddetta “Operazione Vittles”, da quel giorno in avanti aerei americani trasportarono viveri e generi alimentari nella parte Est della città. Un’attività che sarebbe durata 462 giorni. Il danno d’immagine fu troppo grosso e Mosca fu costretta a tornare sui suoi passi.
Un primo successo degli Usa nella guerra fredda
“La più grande operazione umanitaria della storia”. Con una pubblicità simile, è difficile resistere o essere più efficaci. Così. il 12 aprile 1949, il Cremlino interruppe il blocco, ma la timorosità del confronto nel nascente impero sovietico si manifestò perfino nei primi anni di sua formazione, incarnati nel quinquennio successivo alla fine della guerra del 1945. Il che rappresentò, ovviamente, una dimostrazione di debolezza. Il “blocco” – in un certo senso l’antesignaro del “muro” – fu un assist pazzesco alla propaganda americana, che poté presentare l’Ovest non solo come la fonte libera, ma anche come la parte del mondo “opulente” e in grado di sostenere la povertà che stava avanzando ad Est.
Si ricorda in particolare l’operazione “Little Vittles”, con cui il celebre pilota americano Gail Halvorsen si fece circondare a Berlino da bambini che gli chiedevano caramelle. In uno dei voli successivi, gli americani iniziarono a far paracadutare dolciumi. Se non è comunicazione d’assalto questa…
Alberto Celletti