Roma, 27 ott – Spesso, quando si parla della Rivoluzione Conservatrice se ne ha un’idea piuttosto fumosa. Non tanto perché non si sappia, almeno tra chi si interessa di queste cose, di cosa si tratti, bensì perché fu un movimento piuttosto variegato al suo interno e perché, a differenza di altri movimenti culturali del Novecento, la Konservative Revolution non ebbe un vero e proprio manifesto (come fu ad esempio il Manifesto del Futurismo del 1909). Per una sistematizzazione bibliografica di questo movimento, bisognerà attendere il saggio di Armin Mohler del 1950 “La Rivoluzione Conservatrice”, recentemente ristampato da Passaggio al Bosco Edizioni in una versione arricchita dalla bibliografia curata da Nicola Cospito e dai saggi di Alain De Benoist, Adriano Scianca e Lorenzo Di Chiara.
Le tre tappe della konservative revolution
Tuttavia, si può rintracciare una sorta di manifesto “in tre tappe” della Rivoluzione Conservatrice nell’opera di uno dei suoi principali iniziatori: Arthur Moeller van den Bruck. Nato nel 1876 e volontario nella Prima Guerra Mondiale, Moeller van den Bruck scrisse nell’ultimo decennio della sua vita tre saggi che divennero di fatto il manifesto della Konservative Revolution: Lo Stile Prussiano (1916), Il Diritto dei Popoli Giovani (1919) e Il Terzo Reich (1923). Una “triade” che portò uno studioso marxista come Stefano Azzarà a definire Moeller van den Bruck come una sorta di “Lenin della destra”, per la sua riflessione sul collasso dell’ordine borghese e sulla necessità di una trasformazione radicale dopo un tale collasso. Moeller van den Bruck ha le sue radici culturali nella lettura vorace di Nietzsche e nella critica artistico-letteraria: ricordiamo che la sua prima notorietà in Italia arrivò con il suo saggio “La Bellezza italiana”, scritto in seguito ad un soggiorno in Toscana dove ebbe modo di ammirare l’arte e l’architettura basso-medievale e rinascimentale. Da questa formazione culturale emerge la sua particolare nozione di “stile”, che per Moeller van den Bruck non riguarda solo l’arte o l’estetica. Lo stile è la forma morale che un popolo dà alla propria vita. L’elogio qui non è della Prussia in quanto stato o soggetto storico-politico, ma come “modo di essere”: un modo di essere che predilige la misura all’eccesso, che esalta il primato del dovere sul piacere, che contrappone l’eroismo quotidiano “anonimo” basato sulla costanza all’eroismo del gesto spettacolare e della gloria personale.
Lo stile e il diritto dei popoli giovani
Moeller van den Bruck, infatti, è ben contento che la Germania si sia unita proprio sotto la guida del Regno di Prussia e non, ad esempio, del Regno di Baviera: unificandosi sotto la guida e l’impulso militare prussiano, la Germania si è formata su quella forma morale. Egli sostiene inoltre che esistono prussiani “d’adozione”, come Georg Wilhelm Friedrich Hegel (che era di Stoccarda), ovvero coloro che hanno fatto propria la forma mentis prussiana. La Prussia viene dunque ad essere non un’entità localizzata sulla carta geografica, ma – appunto – uno “stile” che permea ogni aspetto della vita. Alla fine della Grande Guerra, Moeller van den Bruck ha terminato la scrittura della seconda tappa del suo “manifesto” della Rivoluzione Conservatrice: “Il diritto dei popoli giovani”. Alla base di questo scritto c’è una distinzione abbastanza “classica”: quella tra popoli vecchi e popoli giovani. I primi, che hanno raggiunto il culmine della propria civiltà e sono ormai in declino, sono destinati ad essere spazzati via dai secondi, che non hanno ancora raggiunto il proprio pieno sviluppo e che hanno il diritto storico-morale di affermarsi nell’arena della storia. È evidente qui l’influenza del pensiero di Hegel nelle “Lezioni sulla filosofia della storia”, dove il filosofo di Stoccarda sottolinea la necessità del conflitto e della “tempesta” per mantenere il mare della storia limpido ed impedire che si trasformi in un acquitrino calmo e piatto. Il conflitto con cui il vecchio è rovesciato dal nuovo ha nel pensiero di Moeller van den Bruck un ruolo di primo piano. E la Prima Guerra Mondiale è stato, in questa visione della storia, un “capitolo” di questo scontro.
La terza via del nazionalismo tedesco
Ma la notorietà di Moeller van den Bruck, è inutile girarci intorno, si deve soprattutto al conio di un’espressione che avrà molta fortuna dopo la sua morte (avvenuta tramite suicidio nel 1925): il Terzo Reich. Questa espressione divenne una parola chiave nel Movimento Völkisch, ben prima che il Nazionalsocialismo ne facesse il proprio programma politico. È interessante inoltre vedere come, originariamente, l’autore avesse in mente “Der Dritte Weg” (la Terza Via) come titolo per questo saggio che è la terza e ultima tappa del “manifesto”: una via “tedesca” alla rivoluzione, alternativa tanto al capitalismo quanto al socialismo scientifico. Come nota Armin Mohler nel già citato saggio sulla Rivoluzione Conservatrice, “di fronte all’universalistico Sacro Romano Impero della Nazione Tedesca ed al piccolo ‘Zwischenreich’ (Reich intermedio) di Bismarck, Moeller van den Bruck con il ‘Terzo Reich’ pone l’immagine di un’Impero finale, nel quale le contraddizioni di socialismo e nazionalismo, di sinistra e di destra, si annullano riunificandosi. Il numero tre qui non significa soltanto la successione degli imperi nel corso della storia; con esso si afferma l’idea di una sintesi che concilia una tesi e un’antitesi”. Insomma, un Impero dell’anima e un “mito politico” mobilitante. Una condizione morale prima che storica, simile a quella “Germania segreta” di cui parlavano gli intellettuali (come lo storico Ernst Kantorowicz) riuniti nel circolo del poeta nazionalista Stefan George.
Enrico Colonna