Milano, 20 feb – La storia delle palme targate Starbucks in piazza Duomo, a Milano, è un piccolo caso politico, ma emblematico di tante cose. Che una multinazionale americana arrivi e si permetta di stravolgere non l’ultima aiuola di provincia, ma uno dei luoghi più conosciuti e significativi d’Italia, è cosa che si commenta da sé. Uno sfregio al paesaggio, che non è il “pittoresco” e neanche, in senso stretto, il “bello”, ma l’anima dei luoghi in cui si rispecchia un’identità. Gli argomenti in favore di palme e banani di fronte al Duomo sono vari. C’è chi ironizza sul fatto che il piatto tipico della tradizione meneghina sia il risotto allo zafferano, quest’ultimo derivato dalla parola araba zaafaran, che allude al colore giallo. È il tipico argomento semicolto. Peccato che esistano rappresentazioni dello zafferano databili al 3500 a.C. nel palazzo di Cnosso, a Creta (gli arabi, nelle loro invasioni, lo hanno solo riportato, l’Antichità lo conosceva già benissimo). Ma, soprattutto, non si capisce il nesso tra una un prestito culturale che si stratifica nel corso dei secoli e lo stravolgimento istantaneo di un luogo simbolico per volontà di una multinazionale statunitense. È come dire (e infatti lo dicono) che siccome 50mila anni fa l’uomo venne (forse) dall’Africa, allora è giusto oggi accettare l’immigrazione.

Ma, alla fin fine, il motivo per cui criticare questa bislacca iniziativa sembra proibito è un altro. Lo spiega lo scrittore Ivan Carozzi su Il Post, testata non accusabile di simpatie xenofobe: “Milano, credo, è la città che, nel big bang e nella trasformazione sociale degli ultimi cinque anni, ha partorito una nuova antropologia locale, cioè l’hipster lealista, pronto in ogni evenienza a omaggiare o difendere la propria giunta e il proprio sindaco”. E quindi “sulla piantumazione delle palme in piazza Duomo per l’hipster non ci sono stati dubbi: è un’altra manifestazione della Milano orgogliosa che osa – come ha detto il suo sindaco in un tweet – che ha visione e che ha voglia di cambiare (a differenza di Roma)”. Anche se l’autore non rinuncia a farsi delle domande: “Ma davvero nessuno trova disturbante che un marchio arrivi e squilibri fino a questo punto il paesaggio di un luogo, con un intervento dirompente e, fino al momento e alla forma attuali, assolutamente anodino e privo di vero charme e di funzione? Dov’è il senso filantropico reale e non pubblicitario 

Adriano Scianca
4 comments
Infatti quelli che hanno dato fuoco alle palme hanno fatto male, ma proprio male: non hanno usato abbastanza benzina!
Vero Diana, ne serviva molta di più… anche per i locali di Starbucks!
Distruggono i popoli europei tramite invasione di massa, europei cittadini di serie b nei loro stessi paesi e l’inquisizione ti condanna per razzismo se non accetti tutto questo.
Tralasciando il fatto che Blackstone acquista la vecchia sede delle Poste Italiane in Piazza Cordusio, per ficcarci Starbucks. Palazzo di fine Ottocento dell’architetto Broggi, di rilevanza storico culturale.
http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/LMD80-00436/
Su questo, va tutto bene!