Roma, 7 lug – Nel momento in cui l’Unione Europea attraversa una crisi strutturale — etica prima ancora che politica — il pensiero di Giuseppe Mazzini torna a essere utile per comprendere le potenzialità di un progetto che ha raggiunto uno stallo apparente. Non si tratta di nostalgie storiche e citazionismo patriottico. Si tratta di recuperare una visione dell’Europa fondata sulle nazioni, sulle identità, sui doveri condivisi. L’opposto del meccanismo economico rappresentato in questi anni da Bruxelles.
Stati Uniti d’Europa: l’idea originaria di Mazzini
Quando si parla oggi di “Stati Uniti d’Europa”, si immagina subito un manifesto della Bonino, o al massimo un’entità sovranazionale centralizzata, iper-burocratica, con competenze sempre più estese e governi nazionali ridotti a enti amministrativi. Ma la formula, ben prima dei federalisti novecenteschi, appartiene già a Mazzini. Il suo significato, però, era completamente diverso. Secondo il patriota l’unione tra i popoli europei poteva nascere solo dopo la liberazione e l’indipendenza delle singole patrie. La patria non era vista però come un ostacolo all’unità, ma la sua condizione necessaria, il suo mattone fondamentale. Per Mazzini, è bene chiarirlo, la Patria è uno strumento e non un fine. Un gradino senza cui l’uomo è “un bastardo dell’umanità”: perché è l’identità nazionale che lega l’individuo ad una comunità partecipando alla costruzione di un ordine superiore. Nessuna sovrastruttura egualitarista, pseudo liberale o democratica può sostituire questo legame. L’Europa unita dai trattati è solo un’astrazione, un’illusione amministrativa, una realtà potenziale ma non in atto.
La Giovine Europa e la rivoluzione
Nel 1834, a Berna, Mazzini fonda la Giovine Europa. Non è un parlamento europeo ante litteram, ma una rete pan-europea di rivoluzionari provenienti da Italia, Germania, Polonia, Svizzera e poi anche Francia e Spagna. L’obiettivo era chiaro: coordinare le lotte di liberazione nazionale su un piano comune. Nessuna burocrazia, nessuna istituzione permanente. Ma una piattaforma politica in grado di unire diversi popoli sulla base di un orizzonte morale condiviso. Nel testo Dell’iniziativa rivoluzionaria in Europa (1835), Mazzini attacca frontalmente la Rivoluzione francese e i suoi valori astratti e universalistici: formalmente portatrice di uguaglianza, in realtà incapace di trasformare davvero i rapporti sociali. Il potere è passato di mano, ma i meccanismi di privilegio e concentrazione della ricchezza sono rimasti. Il rischio – secondo i patrioti europei – non era tanto la ghigliottina quanto che la “libertà” diventasse una maschera per nuove disuguaglianze. È un giudizio spietato sugli “immortali principi dell’89” (su cui ancora oggi si fonda buona parte della retorica progressista) che può essere applicato, senza troppe forzature, anche alla moderna Unione Europea: diritti proclamati, ma sovranità non esercitata; popoli “liberi” in un mercato dominato da trust sovranazionali.
L’Italia come centro della civiltà europea
Inutile sottolineare che per Mazzini, l’Italia non era una nazione qualsiasi. Era il cuore del continente. Nel 1860, in Dei Doveri dell’uomo, scriveva: «Ricordatevi che la missione italiana è l’unità morale d’Europa». Un’affermazione che non si presta a interpretazioni vaghe: l’Italia ha un compito politico e civile dentro il destino europeo. Non è destinataria di un’integrazione forzata, ma soggetto attivo di una trasformazione continentale. La sua centralità storica — dall’Impero romano al Rinascimento — è un mito mobilitante, ma anche e soprattutto la premessa di una funzione politica. Nella visione mazziniana, la nazione italiana non è fine a se stessa: è un tramite per ricostruire l’Europa su basi etiche e spirituali. In questa prospettiva, appare evidente che la missione dell’Italia non è compatibile con una posizione subalterna nella gerarchia dell’UE, o in qualsivoglia gerarchia globale.
L’Unione Europea come modello opposto
L’UE attuale è, sotto ogni punto di vista, l’antitesi della visione mazziniana. È un sistema costruito su criteri funzionalisti, non su appartenenze storiche. I popoli non contano: contano gli equilibri economici, le compatibilità fiscali, la disciplina di bilancio. I diritti vengono prima dei doveri, le identità sono un problema da neutralizzare, la cultura è ridotta a decorazione simbolica. Ma la cosa ben peggiore, che la mette veramente in una posizione di antitesi al verbo mazziniano, è certamente il suo atteggiamento passivo. Se oggi l’assenza di un fondamento morale nelle relazioni internazionali ha riportato le lancette della politica e perfino della diplomazia alla logica della forza, l’UE è l’unica realtà “colpevole” di non praticarla: la sua è una gestione passiva, non-interventista, senza orientamento etico, incapace di difendere valori fondamentali anche quando è gravemente minacciata. Il risultato è quel “mostro freddo” già descritto da Nietzsche: un apparato che apparentemente “funziona” ma non rappresenta certo quella “volontà unica, formidabile, capace di perseguire uno scopo per migliaia di anni”.
Un federalismo etico, non tecnico
In ogni caso, sappiamo che Mazzini non era ostile all’idea di un ordine europeo sovranazionale. Teorizza un’Europa unita, ma non indistinta. Già nel 1835, in Nazionalità. Unitari e federalisti, scrive: «Ogni cosa in Europa tende ad unità […] una federazione, una santa alleanza dei Popoli costituiti in grandi aggregazioni unitarie, a seconda del carattere degli elementi fisici e morali che esercitano più particolarmente la loro azione in una data cerchia, determinando […] la missione speciale della nazionalità». Insomma, la sovranità secondo il genovese – lungi dall’essere un oggetto inamovibile – poteva essere ceduta solo ad un principio superiore, condiviso. Il suo era un federalismo volontaristico, non procedurale: una comunità di destino, non un sistema di governance. Quella di Mazzini non è un’intuizione astratta, ma una lettura organica del continente: le nazioni esistono perché rispondono a caratteri reali — storici, geografici, culturali — e cooperano solo se riconoscono reciprocamente il proprio ruolo. Infatti, la forza del pensiero europeo mazziniano non sta nelle soluzioni istituzionali ma nell’impostazione politica e morale: o la libertà è solidale a livello europeo, o è destinata a perire. La costruzione di una nuova Europa richiede basi etiche e pre-politiche, non regolamenti e trattati. Una presa di coscienza che a prescindere da come la si pensi sulle “procedure” o le “strutture”, dovrebbe far riflettere chi si interroga sul destino di questa Nazione.
Da Mazzini a Faye, l’Europa necessaria
Mazzini non era un idealista isolato. Era un politico realista, legato all’azione. Rifiutava sia il pacifismo astratto sia il legalismo istituzionale. “Non è per forza di convenzioni o d’altro – scriveva – ma per necessità derivata dalla nostra natura che si fondano le società.” L’Europa dei trattati ha fallito perché ignora questa verità. Non basta creare strumenti: serve un fine. Una nuova Europa è possibile solo se si parte dai popoli reali, dalle loro storie e dai loro compiti. Non si tratta di chiudersi, ma di orientarsi. Di tornare a una politica continentale fondata sulle responsabilità e non sulla redistribuzione. Ed oggi più che mai la necessità si fa impellente, quasi spietata. Infatti, il pensiero di Mazzini offre una chiave di lettura anche per interpretare il presente geopolitico. Come ha evidenziato recentemente Il Primato Nazionale analizzando le tesi di Guillaume Faye, l’Europa attuale non è in grado di agire come soggetto politico. Non ha una visione autonoma, né una dottrina strategica. È un’entità frammentata, esposta alle pressioni esterne — che siano statunitensi, cinesi o islamiche — senza alcun filtro culturale o volontà storica. La diagnosi è ampiamente condivisibile: l’UE non è un attore, ma un luogo. Non decide, ma subisce. In questo contesto, tornare a parlare di un’“unità morale d’Europa”, come faceva Mazzini da buon italiano, significa rifiutare la riduzione dell’Europa a spazio neutro. Vuol dire riconoscere la necessità di una volontà politica continentale, capace di ridefinire obiettivi, alleanze e responsabilità. Senza identità forti e missioni riconosciute, l’Europa resta un’anomalia amministrativa in un mondo che torna a essere ordinato secondo logiche di potenza e civilizzazione.
Identità, cultura e missione
Mazzini è stato letto e reinterpretato da correnti diverse: dai nazionalisti al Fascismo, dai fratelli Rosselli al Partito Repubblicano, fino a pensatori della destra sociale come Giano Accame. Ma oggi il suo pensiero può servire a un’altra operazione: uscire dall’opposizione sterile tra sovranismo ed europeismo. Offrire un modello alternativo, non reattivo ma creativo. L’Europa, se vuole sopravvivere, dovrà incarnare la sua identità, i suoi popoli e le sue aspirazioni. L’Italia, se vuole contare, deve smettere di subire. Il Risorgimento non è un retaggio storico finito e concluso, ma un cantiere ancora aperto sul panorama della storia. La vera alternativa all’Unione Europea non è l’isolamento, ma una costruzione comune fondata su identità, cultura e missione.
Sergio Filacchioni