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“Remigrazione”: lessico e contenuti per una riconquista di sovranità

by La Redazione
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Remigrazione

Roma, 30 gen – Il termine “Remigrazione” che recentemente è stato introdotto nel dibattito lessicale proveniente dall’Austria e dalla Germania ha un’indubbia valenza evocativa e narrativa. Sappiamo bene che il lessico è un elemento essenziale nel dibattito culturale e che se un termine diventa di uso corrente nel dibattito, prima o poi diventerà realtà.

La Remigrazione come direzione di marcia

L’egemonia si costruisce soprattutto sul lessico e imponendo i termini del dibattito, è sempre stato così. Il problema sorge quando il lessico va sostanziato in termini di contenuti che abbiano un senso e una coerente direzione di marcia. Ci troviamo davanti ad un cambiamento di fase e di scenario, in cui ci sembra, alla stregua dei fatti, che la recente affermazione del blocco iper-capitalista negli USA porterà ad un cambiamento culturale, valoriale e quindi politico, tutto interno al modello capital-imperialista, ma con differenze di non poco conto rispetto a prima. Le sacche improduttive o “devianti” rispetto alla coesione sociale interna richiesta dalla nuova fase, porteranno ad un cambiamento di atteggiamento delle élites nei confronti delle questioni di genere, sull’immigrazione clandestina ed in generale a relegare le questioni delle “minoranze“, siano esse reali o immaginarie (alla Gaber), a questioni del tutto marginali oramai prive della centralità per il capitalismo che avevano sino a non molto tempo fa. Questo processo iniziato qualche anno fa negli USA e che oggi è sancito dalla vittoria di Trump e Musk ha come fine ultimo l’obiettivo di “razionalizzare” l’inevitabile confronto con la Cina, che già adotta uno schema di “capitalismo nazionale” estremamente coeso e disciplinato sul piano sociale e che sicuramente risponde in modo veloce ed efficace alle sfide del futuro.

Riconquista di sovranità

Questo processo, tutto interno a questa logica di razionalizzazione del confronto inter-imperialista a livello globale, e di cui le espressioni “valoriali” costituiscono la sovrastruttura, trova un’Europa in ritardo ed impreparata a coglierne ambedue gli aspetti. Sul piano economico, perché allo stato attuale non esiste una classe dirigente europea ed un soggetto politico capace di imporre un processo di unità europea che i tempi impongono, e sul piano” valoriale”, si riflette la medesima incertezza tra proseguire su una visione culturale woke e “integrazionista” – ormai rifiutata da settori sempre più consistenti della società e dannosa per ogni politica di Potenza – ed una presa d’atto che bisogna cambiare registro ed in fretta. Su queste basi il termine “Remigrazione” può essere una buona opportunità per risvegliare le coscienze degli Europei, suscitare il giusto sentimento di appartenenza per troppo tempo sopito e l’inizio di un processo di consapevolezza di un destino comune che dovrà per forza di cose, passare attraverso il crinale di una maggiore autonomia e riconquistata sovranità.

Centro Studi Kulturaeuropa

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