Roma, 30 lug – Se per un calciatore conquistare il mondiale è sempre straordinario – nel senso etimologico del termine: qualcosa al di fuori della norma – rientrare nella cerchia elitaria dei plurivincitori è un traguardo quasi irraggiungibile. Impresa riuscita per ben tre volte al primatista Pelé e in un paio di occasioni a una ventina di atleti. Tutta l’ossatura del Brasile 1958-1962 poi, diversi anni più tardi, Cafu e Ronaldo. Il Caudillo argentino Passarella, ma anche quattro nostri connazionali degli anni ‘30: Giovanni Ferrari, Guido Masetti (il portiere romanista non scenderà però mai in campo), Giuseppe Meazza ed Eraldo Monzeglio. A proposito di quest’ultimo, forse non tutti i calciofili sanno che il forte terzino metodista di Vignale Monferrato era in strettissimi rapporti con la famiglia Mussolini.
La bandiera del Bologna
Dopo gli esordi con il Casale lo acquista, appena ventenne, il Bologna. Siamo nel 1926 e con quello che – anche grazie alle prestazioni del difensore di posizione – sarebbe ben presto diventato “lo squadrone che tremare il mondo fa” conquista in nove stagioni uno scudetto e due Coppe dell’Europa Centrale. Esordisce in nazionale sulla soglia delle ventiquattro primavere, diventando in coppia con Allemandi una colonna della selezione guidata da Vittorio Pozzo. Proprio mentre milita nei felsinei (alla conclusione della lunga parentesi saranno oltre duecentocinquanta le presenze) vince – da titolare – il mondiale italiano del 1934.
L’esperienza a Roma
L’anno successivo lo acquista la Roma. Elegantemente rude, anche in giallorosso Monzeglio mette in mostra le sue qualità. Tocco felpato e duro nel contrasto, amava rivendicare il suo modo di giocare. Tanto che durante l’esperienza capitolina si vide infliggere una giornata di squalifica per essersi preso – tramite lettera ai giornali – la paternità di un energico fallo commesso su Piola in una stracittadina del ‘37.
Arriva il mondiale di Francia, competizione nella quale il nostro colleziona il trentacinquesimo – e ultimo – gettone azzurro. Gioca nella partita d’esordio, una combattuta gara contro la Norvegia risolta a nostro favore solamente ai supplementari. Tanto basta per laurearsi ancora una volta campione del mondo.
Monzeglio, fuori dal campo: la famiglia Mussolini
Durante il periodo emiliano, probabilmente nel bel mezzo di una vacanza passata nella vicina Riccione, il terzino conosce Bruno e Vittorio Mussolini, rispettivamente secondo e terzogenito del Duce e di donna Rachele. Ma è con il trasferimento nella città eterna che il rapporto tra Eraldo e la famiglia del primo ministro si intensifica. Sportivo eclettico, a Villa Torlonia è – per così dire – allenatore personale del rivoluzionario romagnolo. Ma non di calcio, bensì di tennis.
Appesi gli scarpini al chiodo Monzeglio diventa direttore tecnico della Roma, vincendo il tricolore nella nuova veste dirigenziale. Il deflagrare del secondo conflitto mondiale lo porta – da volontario – sul fronte russo. E, successivamente, ancora con i Mussolini a Salò. Uomo di fiducia, con impareggiabile senso del dovere rimane sul Garda fino alle ultime tragiche ore della Repubblica Sociale.
Il secondo dopoguerra
Poco avvezzo al pettegolezzo, nel secondo dopoguerra il nostro evitò di rendere eccessivamente pubbliche le proprie memorie. Intraprese fin da subito e senza ostracismo alcuno la carriera da allenatore (tra le altre Napoli, Sampdoria, Juventus), partendo da Como e Pro Sesto. Proprio a Busto Arsizio, Stalingrado d’Italia, città colma di operai comunisti, riuscì a lavorare nel biennio 1947-1949 senza problema alcuno, riscuotendo al contrario le simpatie dei rossi (leggenda vuole che furono i lavoratori proletari a salvare il nostro dal piombo partigiano). Si spense nel novembre 1981 dopo una lunga malattia.
Monzeglio – e tutto il suo vissuto – sconta oggi, da destra a sinistra, una “condanna” in via definitiva alla damnatio memoriae. Così non fu con le ferite del conflitto ancora aperte. Tra calcio e politica, tra fascismo e antifascismo, qualcuno dovrebbe rifletterci sopra. Ovviamente – a parte noi – nessuno lo farà…
Marco Battistini