Roma, 9 feb – In una recente intervista al Messaggero, l’allenatore della Nazionale femminile di pallavolo, l’argentino Julio Velasco (già poco tempo fa autore di discutibili dichiarazioni a favore dello ius soli), se ne è uscito con un duro attacco al calcio: a suo dire sarebbe uno sport divenuto troppo noioso, nel quale spesso, a differenza di altre discipline come appunto il volley, finisce per vincere chi gioca peggio.
Julio Velasco come la volpe che non arriva all’uva?
Partiamo subito con l’affermare l’ovvio: Velasco è un grandissimo interprete della sua disciplina, che ha cercato pure, tra il 1998 ed il 2000, di affermarsi anche come dirigente calcistico. Prima nella Lazio e poi nell’Inter. Con esiti a dir poco fallimentari. Questa cosa probabilmente non deve essergli quindi andata proprio giù. Ed ora sembra un po’ rispolverare la celeberrima favola della volpe e dell’uva. Ma, caro Julio, è vero che spesso ci sono partite di calcio noiose. E che capita anche sovente che vinca la squadra peggiore (del resto il compianto Nereo Rocco, ad un giornalista che gli augurava potesse vincere il migliore, rispose “Speriamo di no!”).
Ma è proprio uno dei motivi per i quali il calcio è di gran lunga lo sport preferito del pianeta, seguito da miliardi di fanatici. Mentre la pallavolo è un gradevole passatempo da osservare ogni tanto in tv senza troppo impegno. Ma è proprio l’assioma di partenza del CT naturalizzato italiano ad essere sbagliato: il calcio è un gioco, non uno sport!
Genio e strategia
Il calcio è la rappresentazione di una battaglia e nelle battaglie spesso vince il genio o la strategia, non la qualità degli schieramenti sulla carta. Nel calcio il pubblico è un grande fattore, non a caso è detto “il dodicesimo uomo in campo”. Perché è in grado di spostare i sottili equilibri di una partita, cosa che non può accadere in sport ad alto punteggio, dove nel 90% delle occasioni il più forte finisce inesorabilmente per trionfare.
Al tifoso di calcio non importa affatto che una gara sia noiosa, se la propria squadra alla fine porta a casa il trionfo e se ciò accade con un autogoal o con un errore clamoroso del portiere avversario, piuttosto che con una prodezza di un suo fuoriclasse. Nulla importa, anzi a volte c’è ancora più gusto, se chi hai contro è magari proprio il tuo odiato rivale per eccellenza.
Il calcio: più che sport è tragedia shakespeariana
Ecco perché qualsiasi esagerato tentativo di spettacolarizzare un gioco già praticamente perfetto non può sortire chissà che risultato. Anzi rischia solo di allontanare lo zoccolo duro dei tifosi per non attrarne di nuovi. Non abbiamo quindi bisogno di esperimenti al limite della demenza come la Kings League (ok la novità attira, ma i risultati nel medio/lungo termine?). E nemmeno di un VAR sempre più invasivo che rende un gioco naturale un complicato esperimento geometrico di linee per scovare millimetrici fuorigioco. Il calcio non può essere una serie di highlights da guardare su YouTube. Se punta su questo ha già perso, visto che, per esempio, un Michael Jordan poteva fare decine e decine di azioni al limite dell’umano in pochi minuti, mentre un Diego Armando Maradona magari ne faceva una in tutta una partita, forse.
Ma il contesto? È proprio nel contesto che il gioco batte lo sport e si eleva a mitologia e poi a leggenda. Nel tifo si può trovare il tanto agognato spettacolo che Velasco non trova sul terreno di gioco, quello stesso tifo che, in maniera miope, i padroni del calcio vogliono appiattire ed anestetizzare. Il calcio sarà sempre uno spettacolo superiore proprio perché anche lo 0-0 più orrendo il giorno dopo farà discutere decine di persone al bar, sul posto di lavoro o a scuola. Il calcio è gioco, tragedia shakespeariana e poema omerico, non certo sport. E speriamo che rimanga così per sempre.
Roberto Johnny Bresso