Roma, 22 ago – Il pacchiano e oltraggioso funerale di Vittorio Casamonica, leader dell’omonimo clan, ha aperto un vaso di Pandora sulla capacità dello Stato: prefettura, magistratura, forze dell’ordine pubblico, di assicurare la propria presenza e presidio sul territorio, dimostrando una più che evidente scollatura con la realtà. Se non addirittura una mancanza di conoscenza. O peggio -e non è ipotesi peregrina- una connivenza a più livelli.
Fatto sta che il gioco dello scaricabarile è cominciato da subito, con la colpa morta vergine perché non la voleva nessuno. Addirittura il Prefetto Franco Gabrielli, così solerte quando si trattò di sgomberare con la forza inermi cittadini italiani che manifestavano contro un centro d’accoglienza per clandestini, assicura che i suoi uffici non furono informati del fatto a causa di una “falla comunicativa”. Il che dovrebbe far sorgere più di qualche dubbio sulle capacità organizzative del Gabrielli, che in passato è stato perfino a capo dei servizi segreti: non un uomo fresco di vittoria del concorso, insomma.
Il problema è che, ad un certo punto, il cerchio si stringe e qualche verità comincia a venire a galla. Nessuno sapeva. Ma forse qualcuno sì. Ad esempio la prima sezione della Corte d’Appello del Tribunale di Roma, presieduta da Giorgio Maria Rossi, che ha controfirmato la richiesta di allontanamento da casa -nella quale si trovava agli arresti domiciliari- di Antonio Casamonica, figlio del boss, al fine di poter partecipare alle esequie. Lo stesso Rossi firmerà il permesso anche per i coniugi Consilio e Loreta Casamonica, nipoti del compianto. Non solo. Firmai i provvedimenti, questi sono poi trasmessi alle tenenze dei Carabinieri di competenza: Ciampino per Antonio Casamonica, Tor Vergata per Consilio e Loreta. Magistratura e Carabinieri erano quindi informati dei fatti, nei modi e tempi necessari, dunque con congruo anticipo. Possibile che dalle parti della prefettura non sia giunta alcuna voce? Difficile crederlo.
Roberto Derta
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