Varsavia, 25 gen – Più che le chiacchiere poterono i numeri: secondo l’ultimo rapporto ufficiale dell’agenzia Frontex, in tutto il 2015 il numero di immigrati illegali che hanno varcato i confini dell’Unione Europea, essendo stati registrati (quindi certamente una sottostima) è cresciuto di cinque volte e mezzo rispetto al precedente record del 2014, portandosi all’astronomica cifra di 1,83 milioni. Anche considerando i possibili doppi conteggi – molti di quelli entrati in Grecia dalla Turchia possono essere stati nuovamente registrati lungo la via balcanica occidentale – il volume supererebbe di parecchio il milione e quindi tutte le stime precedenti di cui abbiamo dato conto su queste colonne.
Più in dettaglio, Frontex evidenzia che nonostante l’arrivo dell’inverno, in dicembre ben 108mila immigrati sono stati registrati in Grecia, 40 volte di più rispetto allo stesso mese dell’anno precedente per un totale di 880mila in tutto l’anno, mentre la cifra è stata di 9mila700 in Italia – il 50% in più rispetto a dicembre 2014 – per un totale annuale in leggero regresso rispetto all’anno precedente: 157mila contro 171mila. Le ragioni del netto sorpasso degli ingressi in Grecia sono legate alla facilitazione del transito dalla Turchia e – a quanto sostiene Frontex – anche a una recente carenza di imbarcazioni lungo le coste libiche.
Sempre nell’ultimo mese dello scorso anno, l’etnia prevalente dell’immigrazione in Italia è stata quella nigeriana, mentre per la Grecia – quindi la Germania e l’Europa centro-settentrionale – quelle siriana (inclusi i “falsi” siriani dotati di passaporto contraffatto), afgana e irachena. In ogni caso, si tratta di un fenomeno che appare fuori controllo, tanto che le proiezioni per gli anni successivi, a partire da quello corrente, rischiano di rendere il 2015 solo una modesta tappa intermedia nella sostituzione dei popoli nativi europei. Fin qui le nude cifre. Un articolo recentemente pubblicato su ZeroHedge propone però una visione più articolata del fenomeno che va esplodendo davanti ai nostri occhi: sebbene l’innesco dei fenomeni migratori dai paesi soggetti alle cosiddette “primavere arabe” possa essere ricondotto alle rispettive crisi economica, sociale e militare, la loro evoluzione ed espansione sarebbero state favorite essenzialmente dagli Stati Uniti con l’obiettivo di indebolire l’Europa e conseguentemente creare una nuova missione per la Nato – una vera ragion d’essere per un’alleanza la cui esistenza dopo la fine della guerra fredda si stava facendo sempre meno giustificabile.
La Nato come strumento esecutivo della politica estera americana tesa al contenimento delle potenze emergenti con potenziale proiezione globale, quindi la Russia in primo luogo e ovviamente la Cina. La Nato anche come garante degli interessi economici d’oltreoceano sia per il controllo delle risorse energetiche medio-orientali sia per imporre le condizioni più vessatorie nei rapporti commerciali, con riferimento particolare al Ttip, a un’Europa fiaccata dall’invasione. In questo quadro, l’intervento russo in Siria, oltre che per gli scopi d’influenza e direttamente economici, sarebbe motivato anche dall’obiettivo di bloccare l’emigrazione verso l’Unione Europea attraverso il recupero del controllo dei confini terrestri e marittimi siriani, iracheni e libanesi, eventualità che conseguirebbe il duplice risultato di evitare la catastrofe nel vecchio continente – storico partner economico di Mosca – e di guadagnarsi la riconoscenza dei relativi governi, quindi la cancellazione delle sanzioni.
Alcuni analisti, del resto, evidenziano come nonostante una certa resistenza dell’economia russa, questa sia ancora troppo debole e poco differenziata per reggere a lungo il peso dei bassi prezzi di petrolio e gas naturale, anche per la sopravvenuta debolezza cinese. In altri termini, la posizione ancora relativamente forte – economicamente parlando – dell’Europa rappresenterebbe un richiamo vitale per il Cremlino. Questa strategia potrebbe già aver iniziato a dare i propri frutti, dal momento che nel corso di un vertice appena tenuto proprio a Mosca il ministro francese dell’economia Emmanuel Macron, accompagnato da una folta delegazione di industriali, ha posto come obiettivo primario dei prossimi mesi la rimozione delle sanzioni economiche reciproche e l’avvio di numerosi progetti di cooperazione industriale e commerciale tra l’Unione Europea e la Russia. Se l’esito sarà positivo – Washington permettendo – questa sarà stata l’ennesima dimostrazione del grande valore degli investimenti nello sviluppo dell’apparato militare che Putin ha fortemente voluto nell’ultimo quindicennio: una lezione a futura memoria per un’Europa che non riesce nemmeno a controllare le proprie frontiere.
Francesco Meneguzzo