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Gli Stati Uniti attaccano l’Iran: sarà conflitto totale

by Sergio Filacchioni
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Roma, 21 giu – Nella notte tra il 20 e il 21 giugno, gli Stati Uniti hanno bombardato tre siti nucleari strategici dell’Iran: Fordow, Natanz ed Esfahan. L’operazione, annunciata direttamente dal presidente americano Donald Trump con un post trionfalistico (“Abbiamo completato con successo il nostro attacco”), è la più massiccia azione militare statunitense in Medio Oriente dall’invasione dell’Iraq nel 2003.

Conflitto totale con l’Iran

Ma soprattutto, è la conferma definitiva che l’Occidente a guida USA ha scelto la strada del conflitto totale con Teheran, anche a costo di far saltare i fragili equilibri regionali, e con essi ogni velleità europea di affermarsi come potenza autonoma. Secondo quanto riportato dalla CNN, l’attacco è avvenuto con sei bombardieri strategici B2 “stealth” decollati dal Missouri, in volo per 37 ore con rifornimenti aerei continui. Hanno sganciato dodici bombe MOP (Massive Ordnance Penetrator), le famigerate “bunker buster”, capaci di penetrare fino a 60 metri di cemento armato e poi esplodere con una potenza devastante. A queste si sono aggiunti 30 missili cruise Tomahawk lanciati da sottomarini statunitensi nel Golfo. Le MOP non sono bombe qualsiasi. Pesano oltre 13 tonnellate, contengono 2.300 chili di esplosivo, e sono progettate per distruggere strutture sepolte in profondità: come la base di Fordow, scavata sotto 90 metri di montagna e considerata il cuore segreto del programma nucleare iraniano. Un attacco chirurgico, sì – ma che equivale a un terremoto sotterraneo.

Un’aggressione basata su sospetti

Ma cos’è Fordow? È un centro di arricchimento dell’uranio. Sottoposto a regolari ispezioni internazionali. Dichiarato fin dall’inizio. Mai provato essere parte di un programma militare. Majid Tafreshi, storico e ricercatore iraniano, ha sintetizzato l’assurdità della situazione: “L’Iran è membro fondatore del Trattato di non proliferazione nucleare (TNP) e ha sempre dichiarato di non volere armi atomiche. Eppure è stato attaccato sulla base di un’ipotesi mai dimostrata vecchia di quindici anni“. E il paradosso è ancora più evidente se si guarda chi ha colpito: gli Stati Uniti, unico Paese ad aver mai usato bombe nucleari su popolazioni civili, e Israele, unico attore mediorientale dotato – ufficiosamente – di un arsenale atomico non dichiarato e fuori da ogni trattato. Un’aggressione da parte di chi le armi nucleari le ha e le protegge, contro chi non le ha ma potrebbe, un giorno, averle. La narrazione che ha giustificato questo attacco è la stessa che fu usata per invadere l’Iraq: armi di distruzione di massa, pericolo imminente, autodifesa preventiva. Il risultato? La destabilizzazione dell’intera regione, la distruzione di uno Stato sovrano e la rinascita del fondamentalismo jihadista. Ora si riparte da zero, con il bersaglio spostato sull’Iran. E ancora una volta, l’Europa resta a guardare. O peggio: si spacca.

L’Europa impotente e divisa, di nuovo

Nel 2003 l’Unione Europea era a un passo dalla costruzione di una vera autonomia strategica: il piano, noto come “Headline Goal” – stabilito nel 1999 al Consiglio europeo di Helsinki – prevedeva la costruzione di una forza militare europea di 60.000 uomini proprio entro il 2003. Una forza pronta a intervenire indipendentemente dalla NATO. Ma l’intervento americano in Iraq fece saltare tutto. Mentre Francia e Germania si opponevano all’invasione, Regno Unito, Italia, Spagna e i Paesi dell’Est si schierarono con Washington, firmando la cosiddetta “lettera degli otto”. L’Europa si spaccò in due, e il progetto di difesa comune naufragò. Dietro l’attacco all’Iraq non c’era solo la guerra al “terrorismo”, ma anche la volontà di impedire che l’UE si emancipasse militarmente. Oggi, con l’attacco all’Iran, lo schema si ripete: proprio mentre si discute di esercito europeo e riarmo continentale, un nuovo intervento americano rischia di dividere di nuovo l’Europa e bloccare ogni tentativo di autonomia. Il messaggio implicito è evidente: non appena l’Europa prova a emanciparsi militarmente, Washington interviene con un conflitto strategico, che riporta tutti all’ordine. Ottantuno anni fa, era la Seconda guerra mondiale. Oggi, è l’Iran. Ma il metodo è lo stesso.

L’Iran colpito, l’Europa neutralizzata

L’attacco agli impianti iraniani ha un duplice effetto. Colpisce Teheran, certo. Ma disarma politicamente anche l’Europa, obbligandola a schierarsi, a subire, a rinunciare per l’ennesima volta a una politica estera autonoma.Ed è questo, forse, l’obiettivo secondario ma strategico dell’intervento americano: tenere sotto controllo i partner occidentali e impedire la nascita di un polo alternativo che sfugga al bipolarismo Usa-Cina. L’Iran, come l’Iraq, paga per ciò che potrebbe fare, non per ciò che ha fatto. L’Europa, invece, paga per ciò che non riesce a diventare.

Sergio Filacchioni

    

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